L’introduzione di Luca Doninelli a I più non ritornano

Spesso si parla di letteratura quando la letteratura non c’è. Oppure c’è, ma si fa come se non ci fosse. Si può passare una vita a parlare di Dante o di Leopardi in loro assenza. A interpretarli. A mettere loro in bocca parole che sono soltanto nostre.

Già, «mettere in bocca». Che espressione sconsolata! Un vero scrittore non mette in bocca nessuna parola ai suoi personaggi, perché un vero scrittore sa che i personaggi non sono suoi, e che le loro parole sono le loro, e non le sue.

Ma un grande romanziere, se grande è, non lo si interpreta: lo si legge, e allora lo si capisce, lo si ama, lo si fraintende, e tutto questo capire e non capire entrerà a far parte del suo destino, del destino della sua opera, ne segnerà il percorso, la forma della sua fortuna, che per i grandi scrittori è diversa da persona a persona – così come è sempre uguale (mi spiace contraddire Tolstoj) la fortuna degli scrittori modesti: caso letterario, ottime recensioni, scalata in cima alle classifiche, saggi dedicati, saturazione, noia, dimenticanza.

Con Eugenio Corti a parlare di valori e di romanzi

Accadono fatti strani nella vita, fino a 45 anni non sapevo quasi nulla di quello che forse è il più grande scrittore italiano contemporaneo. Solo dopo l’ennesimo consiglio mi sono deciso a leggere «Il Cavallo Rosso». In mille e duecento pagine sono raccontati più di trent’anni di storia senza il filtro dell’ideologia dominante. Ogni pagina racchiude descrizioni quasi pittoriche che fanno del romanzo un Louvre in prosa. Un’elevazione spirituale e il desiderio di ringraziare e pregare per i nostri nonni che hanno provato a consegnarci una società fondata su valori di cui oggi purtroppo avvertiamo solo l’eco.