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Un genio dimenticato esce dall’ombra

Novant’anni e non sentirli. Nel senso di avvertirli appena, sotto una patina di silenzio ignaro. Eppure Eugenio Corti li ha compiuti all’inizio del 2011, e l’anno della ricorrenza di uno dei più grandi scrittori italiani viventi è passato nella sostanziale indifferenza delle istituzioni culturali, così come è stato accompagnato da una serie capillare e continua di iniziative gonfie di partecipazione, di cui per ora il Meeting di Rimini ha segnato il punto più alto.

Su queste colonne è già stato annunciato lo spettacolo che la XXXII edizione ha dedicato all’autore de II cavallo rosso: tra i padiglioni della Fiera che si chiude oggi è andata in scena una lettura musicata dedicata allo scrittore. Due grandi attori e autori, che hanno sovrapposto i loro compiti inchinandosi al genio popolare dello scrittore brianzolo: Andrea Soffiantini e Paola Scaglione hanno offerto martedì sera al pubblico di Rimini quasi due ore di citazioni, dialoghi e musiche di Flavio Pioppelli ispirate a Claudio Chieffo, storica voce e chitarra del movimento di Comunione e Liberazione. Una pièce intitolata “Scolpire le parole. Eugenio Corti: la milizia del vero, il canto della bellezza”, che da mesi gira i teatri più o meno grandi del Nord Italia e non solo, ma che qui ha ricevuto probabilmente la più alta affluenza, oltre a un allestimento pensato per gli spazi della Fiera e per il pubblico del Meeting.

Lo Stalin di Corti, finalmente

Mosca, primo marzo 1953. Due guardie vegliano davanti all’ufficio di Iosif Vissarionovic Džugašvili, per tutti, Stalin. Hanno un copricapo di feltro con una gigantesca stella rossa, è troppo calcato sugli occhi e forse li acceca. Il senso della loro missione li aiuta a non avere indugi: «È un grande compito il nostro: vigilare da vicino la vita del grande compagno Stalin […]. Tremendo compito, che non ci concede di allentare la tensione nervosa nemmeno per un minuto».

Vegliano su Stalin perché a sua volta lui vegli e sani «i mali del mondo». Non sanno però che il loro Stalin è un uomo spezzato, inerte come il suo braccio sinistro, rattrappito per il morso di un cane rabbioso in gioventù. D’improvviso il coro invade la platea, cantando «io non dubito né dubiterò»: è un fiume di ragazzi in corsa sul palco con bandiere rosse. Una statua di bronzo del dittatore oscilla sulle spalle di ragazze con gonna lunga e camicia bianca: sarà un evocativo totem per l’intero spettacolo, come una sfinge o una divinità ferita alla Mitoraj.

Poi il sipario si apre su di Lui, il Tiranno, il grande Epuratore.

Le luci tingono il palco di un’aura malata e sanguigna: la scena è spoglia, presidiata soltanto dal protagonista al tavolo di lavoro. Ci sono un telefono e un libro. Basta un telefono per uccidere, e un libro con l’effigie di Lenin, perché il verdetto sia consono alla Dottrina e legittimi tutto quel sangue…

Sono queste le prime scene del Processo e morte di Stalin, la tragedia (ripubblicata dalle Edizioni Ares lo scorso inverno) scritta da Eugenio Corti nel 1961 e tornata sul palco dopo un esilio di decenni. Il dramma fu infatti presentato per la prima volta nell’aprile del 1962 dalla Compagnia Stabile di Diego Fabbri presso il romano Teatro della Cometa (per chi volesse tuffarsi nel clima di quegli anni e della prima rappresentazione, è possibile rileggerne la dolente cronistoria nel terzo volume del Cavallo rosso).

Corti nei Paesi Bassi e poi a teatro

L’edizione in lingua olandese del capolavoro di Eugenio Corti Il cavallo rosso (Ares 2011, 27° ed., pp. 1.280, eur 24) giunge sottoforma di un poderoso volume di ben 1.374 pagine; Het rode paard (Uitgeverij Van Wijnen, Franeker 2011) si aggiunge alle numerose traduzioni, penultima quella in giapponese, che testimoniano l’interesse che l’opera di Corti continua a suscitare in ambito internazionale.

Imputato Stalin si alzi in piedi

Dopo cinquant’anni di silenziosa censura, va in scena per la prima volta la tragedia di Eugenio Corti che mette alla sbarra il più spietato dittatore sovietico e la sua impeccabile interpretazione del comunismo. Per estirpare la corruzione dal mondo non c’è altro modo che eliminare l’uomo.

Eugenio e Vanda Corti

Quel male che c’è in noi

Il blitz americano. L’eliminazione del nemico. La gioia nelle piazze. Ma che cosa rimane ora della notizia che ha occupato per giorni le prime pagine di tutto il mondo? Lo abbiamo chiesto a Eugenio Corti, il grande scrittore che ha raccontato crimini (e dolore) del Novecento.
E lui ha risposto parlando di giustizia. Del diavolo. E di una speranza che attraversa i secoli