Con Eugenio Corti a parlare di valori e di romanzi
È la sera del 23 maggio, accendo il computer e leggo la posta. Gianmaria scrive a me e agli amici Emanuele, Giorgio, Valerio che «è fatta. Domani sera Eugenio Corti ci aspetta a casa sua».
Accadono fatti strani nella vita, fino a 45 anni non sapevo quasi nulla di quello che forse è il più grande scrittore italiano contemporaneo. Solo dopo l’ennesimo consiglio mi sono deciso a leggere «Il Cavallo Rosso». In mille e duecento pagine sono raccontati più di trent’anni di storia senza il filtro dell’ideologia dominante. Ogni pagina racchiude descrizioni quasi pittoriche che fanno del romanzo un Louvre in prosa. Un’elevazione spirituale e il desiderio di ringraziare e pregare per i nostri nonni che hanno provato a consegnarci una società fondata su valori di cui oggi purtroppo avvertiamo solo l’eco. Infatti gente come Corti, ovviamente, non rientra nel barnum dei programmi scolastici di letteratura italiana. È «troppo» cattolico! una pazzia.
Vanda, moglie dello scrittore, ci fa accomodare al tavolo. Eugenio Corti, classe 1921, è seduto ad aspettarci. Da circa un anno cammina poco. La voce tradisce l’età che avanza inesorabilmente, la mente è invece sorprendentemente lucida, lo sguardo è sorridente e sereno, negli occhi riconosco una fede immensa che traspare in ogni sua parola. La prima domanda deve per forza far riferimento alla ritirata dal Don, Russia dicembre 1942. «Che cosa pensava in quelle drammatiche ore»? «Quei giorni di sofferenza mi hanno confermato nella fede. Ho assistito a tante scene tristi e ad episodi “mistici”, per esempio ho visto dei soldati in fin di vita profetare. Non solo quelli che sarebbero morti, anche alcuni che poi si sono salvati. A casa accadeva lo stesso, mamme che sentivano che il figlio era morto, oppure salvo, e poi la loro impressione veniva confermata in breve tempo da comunicazioni ufficiali. Io avevo affidato le preghiere a mia madre. Lei da casa ha sempre pregato per me. E poi c’è un’altra Mamma che ci aiuta sempre, la Madonna mi è stata vicina, ci è sempre vicina»!
«Come mai scelse di partire per la Russia»? «Volevo vedere di persona, farmi un’idea dei risultati del gigantesco tentativo di costruire un mondo nuovo senza Dio, anzi, contro Dio, operato dai comunisti. Volevo assolutamente conoscere la realtà del comunismo; per questo pregavo Dio di non farmi perdere quell’esperienza, che ritenevo sarebbe stata per me fondamentale: in questo non sbagliavo». «Nel romanzo parla della nostra gente, di una società cristiana i cui valori sono stati l’humus dello sviluppo culturale ed economico. Poi con rammarico fa riferimento a una parte di cattolici che, a partire dal referendum sul divorzio, cede alle sirene del mondo…». «Sì, è proprio vero, noi brianzoli, in particolare, siamo sempre stati “paolotti”, a differenza dei milanesi cittadini. Non a caso questa terra ha dato dei frutti importanti alla cultura, all’imprenditoria. Ma poi quella coscienza comune s’è trasformata, nelle scuole oggi non si insegnano più i sani principi, la gente venuta da fuori ci ha cambiati. Però non sono pessimista, il bene e il male nella storia si sono sempre alternati, dobbiamo sempre confidare in Dio».
«Da giovane ha letto e gustato i poemi omerici». «Sì, Omero mi ha sempre colpito perché tutto ciò che descrive si trasforma in bellezza». «Devo dire che i personaggi del Cavallo Rosso, Ambrogio, Michele, Manno, Alma, sembrano davvero eroi di quel genere…». Eugenio Corti mi guarda compiaciuto del complimento: «Se lo dice lei… sarà così»! «I suoi romanzi parlano una lingua diversa rispetto a quella dei guru della vulgata comune laica e laicista. Se si è come lei il Nobel per la letteratura non arriverà mai… Tuttavia ha ricevuto parecchi riconoscimenti, l’ultimo recentemente, una medaglia d’oro dal Presidente della Repubblica». «Sì, è arrivata a casa la comunicazione… Ma è andata mia moglie a ritirarla, a me quelle “mascherate” lì…».
Eugenio Corti, classe 1921, ambisce ad altri riconoscimenti, a 92 anni ha capito da tempo che bisogna confidare in Dio e non nel «mondo», è l’insegnamento principale dei suoi lavori letterari. Usciamo da casa Corti nel tardo pomeriggio, ci scusiamo per averlo intrattenuto più di due ore, lui ringrazia e sua moglie ci dice di non preoccuparci, «è felice se lo vengono a trovare». Probabilmente le visite di chi ha apprezzato le sue opere valgono più delle medaglie d’oro. Saliti in auto ci fermiamo, dopo qualche minuto, ad ammirare il Resegone, innevato in questa fredda e pazza tarda primavera. La visione non può che evocare il padre del romanzo storico italiano. Credo che il paragone Corti – Manzoni calzi senza cadere nella lesa maestà. Oggi la censura culturale non permette questi accostamenti. Ma la bellezza e la verità alla fine prevalgono sempre. «Ai posteri l’ardua sentenza»!
(Attilio Negrini, Giornale di Brescia, 03/07/13)