Il disastro dossettiano secondo Eugenio Corti
L’accordo è che si parlerà di politica. Ma di quale politica? “Il punto di partenza – afferma lo scrittore Eugenio Corti senza preamboli – è la situazione generale della cultura, oggi. Tutto ha inizio all’epoca del Rinascimento, quando è avvenuto il passaggio dall’umanesimo teocentrico cristiano all’Umanesimo tout court”. Lo scrittore Eugenio Corti non è nuovo ad analisi del presente che partano da lontano, nel tempo o negli avvenimenti. Il cavallo rosso (Ares, 1983), il suo romanzo capolavoro, è una lunga saga degli uomini e della storia, che sa rendere conto con passione dei decenni che vanno dal 1940 al 1974.
“L’Umanesimo ha avuto una evoluzione: l’Illuminismo – prosegue – da cui vennero l’Idealismo tedesco e il suo pieno sviluppo, la filosofia di Hegel: da essa si sviluppò, a sinistra l’ideologia del materialismo storico e dialettico, con Feuerbach e il comunismo; a destra, le idee di superuomo e di volontà di potenza, sostenute da Nietzsche e concretate nell’ideologia nazista”. E sin qui, una lezione di storia delle idee. “Ma la filosofia di Hegel è quella che sta a monte dell’impostazione attuale, della cultura dominante: è quella che ha più presa, oggi, sulla realtà politica”. Secondo Corti “E’ Hegel che sostiene che la violenza è una fase necessaria della storia, attraverso la Rivoluzione francese: e pur avendo considerato come uno sviluppo culturale positivo quello cristiano, lo riteneva inferiore alla cultura moderna, accettabile solo a condizione che rimanesse configurato nell’ambito interiore del singolo, senza presa sulla società”. Conclude, quasi dettando: “Questo è il punto in cui siamo ancora oggi, l’ideologia predominante in Europa nel XX secolo: il punto d’arrivo, il proclama della morte di Dio”.
Paralisi attuale
“A fronte di ciò – riprende l’autore brianteo – c’è la cultura cattolica, uscita dal Concilio di Trento con un recupero nei confronti della ribellione protestante: poi, mentre avvenivano le grandi scoperte scientifiche, questa impostazione è proseguita senza aperture particolari verso le novità che comportavano una conferma straordinaria della Bibbia e di ciò che i cattolici pensavano”.
“Il grande ritorno alla modernità – prosegue – è intervenuto con il neotomismo cioè con la riscoperta di san Tommaso e della scolastica, che ha dimostrato di essere la filosofia perenne: di questo recupero noi dobbiamo essere grati a Jacques Maritain, che fu poi il grande deviatore dei cattolici in filosofia e in politica. In Italia, l’indirizzo nuovo è stato abbracciato, ai primi del Novecento, e portato avanti dall’Università Cattolica, soprattutto con padre Gemelli e con monsignor Olgiati”.
La politica incomincia infine a fare capolino nel discorso, dopo la lunga, eloquente, introduzione culturale: come a ribadire quanto quest’ultima derivi da quell’altra. “In seguito, con l’idea maritainiana di “nuova cristianità”, progetto contenuto nell’opera Umanesimo integrale, questo cambiamento ha investito tutta l’area dei politici cattolici provenienti dall’università, con l’azione di personaggi come Fanfani, Lazzati, La Pira e Dossetti. Da qui nasce la spaccatura che ha paralizzato attività e presenza dei cattolici proprio negli anni in cui sarebbero state più necessarie: e questa paralisi è ancor oggi attuale”.
Io voto Formigoni
E il presente? Che cos’é adesso il presente?
“Dopo i terrificanti fallimenti dei dossettiani, cioè dopo la presunzione di modificare gli indirizzi del Concilio Vaticano II, e dei La Pira (il quale, non dimentichiamolo, invitato da Krusciov a comunicare all’Occidente i misfatti dello stalinismo all’epoca del XX congresso del Pcus si rifiutò di dire la verità sull’Urss per non dover smentire le affermazioni precedenti), dopo tutto ciò, la cultura cattolica germinata dal neotomismo ha in teoria davanti a sé la possibilità di essere l’unica autentica cultura cattolica”.
Una sensazione ben precisa, che molti stanno provando in questi giorni decisivi per il presente e per il futuro del paese. Che cioè la politica possa davvero ritornare arte delle possibilità. “Per quanto concerne la politica attiva – dice Corti – coloro che hanno sempre seguito gli indirizzi della Chiesa evitando aperture al comunismo o al laicismo radicale (aperture operate da Maritain e dai suoi seguaci italiani) sono ora gli unici che potrebbero portare avanti la grande politica che ha consentito il progresso dell’Italia nell’epoca della vera Democrazia cristiana. Secondo me, la figura preminente di questa possibilità nuova dei cristiani in politica è Roberto Formigoni”.
La chiarezza è una delle (tante) virtù di Eugenio Corti, l’uomo che dalla ritirata di Russia in poi (era l’inverno del ’42-’43) non ha mai rivestito la figura del reduce né dell’intellettuale; semplicemente, è uno scrittore, cioè uno che crede nella verità delle parole per esprimere la verità delle cose. Sta per uscire la diciannovesima edizione del suo romanzo maggiore: quanti critici letterari lo sanno? Tra poche settimane sarà in libreria l’ultima fatica di Corti, Catone l’antico (Ares, 2005), un romanzo ambientato nella Roma repubblicana ai tempi di Scipione e di Cartagine. Tante novità a ottant’anni compiuti. Una novità antica di duemila anni che Corti chiama “quella possibilità di fronte a sé”.
(Andrea Sciffo, 31/03/2005, Tempi)