Otto strade maestre per apprezzare Corti
Monza – La sala delle feste di Villa reale ha ospitato lunedì il convegno internazionale “Cantare l’universale nel particolare. L’epica del quotidiano nell’opera di Eugenio Corti”. Promosso dall’assessorato provinciale alla cultura, il convegno si inserisce nelle iniziative che sostengono la candidatura dello scrittore besanese de “Il cavallo Rosso” al Nobel per la letteratura. “L’opera di Corti riesce come poche altre a descrivere la cultura brianzola e i valori fondanti che rimandano alle radici più profonde della nostra terra – hanno commentato il presidente della provincia Dario Allevi e l’assessore alla cultura Enrico Elli, all’apertura dei lavori – il convegno è dedicato alla piena riscoperta di questa identità e al più vasto progetto culturale di recupero e valorizzazione delle proprie origini”.
Riportiamo una sintesi degli interventi del convegno di studio coordinato da Armando Torno, editorialista del Corriere della Sera: da una parte la critica internazionale all’opera di Eugeniio Corti, con la presenza di nomi importanti del panorama culturale francese e inglese; dall’altra lo sguardo italiano con gli interventi di Franco Brevini, Giovanni Santambrogio e l’editore e critico letterario Cesare Cavalleri.
Gli intellettuali stranieri
Nemo profeta in Patria. Eugenio Corti non fa eccezione, anzi la sua fama è molto più grande Oltralpe dove “Le Cheval Rouge” fu pubblicato dall’editore Vladimir Dimitrievic nel 1996 con prefazione di François Livi.
Al convegno in Villa Reale Dimitrievic e Livi hanno ripercorso le tappe di quella pubblicazione, arrivata in modo “provvidenziale” sul tavolo di Dimitrievic.
“Si parla molto del Cheval Rouge – ha detto l’editore francese – ma io amo anche i romanzi per immagini che sanciscono la nascita di un nuovo genere. Corti è un romanziere che si inserisce nella tradizione di Omero che lui considera il suo maestro, Aleksandr Isayevich Solzhenitsyn o Tolstoj. Quando leggete Catone l’antico che adoro o i suoi racconti di guerra siete calati in un’energia del quotidiano che arresta il corso del tempo. Corti è il cinema , meglio del cinema, il teatro meglio del teatro , il cibo meglio del cibo. Corti ci offre il modo di uscire dalla crisi dipingendo l’uomo totale per uscire dalla civiltà cerebrale, fatta di cifre,ma che non ha il cuore”.
Livi ha parlato di Corti come di una stella fissa: “Le stelle sono vere, le costellazioni vengono invece tracciate da noi critici della letteratura”. Per questo parlando di Corti nell’ambito della tradizione europea del romanzo storico, Livi non ha voluto parlare di influenze, ma di affinità con altri autori.
Per le pagine di guerra ha comparato Corti alle “Mémoires d’outre tombe” di Chateaubriand che descrive la caduta di Napoleone, a Mario Rigoni Stern “anche se in Corti c’è il tentativo di capire l’orrore della guerra”.
“Corti – ha proseguito Livi – lancia una sfida al suo lettore a prendere la staffetta per portare avanti i valori. In questo lo avvicino a Grossman di “Vita e destino”, un romanzo ostacolato dal regime sovietico, scritto in dieci anni”. Non è il primo ad avvicinare questi due autori: George Steiner disse che “Vita e destino e il Cavallo Rosso eclissano quasi tutti i romanzi che vengono presi sul serio oggi”.
Paragone inusuale quello proposto nell’ultimo intervento da Peter Milward, gesuita inglese da 56 anni in Giappone. Massimo esperto della religiosità di Shakespeare, Milward si è scusato con il pubblico per aver comparato in passato l’opera di Corti a quella di Tolstoj di “Guerra e pace”, di Joyce dell’”Ulisse” o di Tolkien de “Il signore degli anelli”.
“Si tratta di grandi romanzi epici, ma visto che negli ultimi cinquant’anni vedo tutto con gli occhi di Shakespeare direi che c’è in Corti un’epica della cristianità che lo avvicina alla religiosità shakespeariana”.
Gli intellettuali italiani
“Eugenio Corti costituisce uno dei casi letterari più singolari del secondo Novecento”. Lo sostiene Franco Brevini, docente all’Università di Bergamo, scrittore e saggista. “Non figura nelle storie letterarie del secolo, è ignoto o malnoto alla maggior parte dei critici e degli storici della letteratura, nonostante il “Cavallo rosso” sia giunto alla venticinquesima edizione, abbia venduto 400 mila copie, sia stato tradotto in sette lingue”. Perché? Per Brevini la risposta è nell’inattualità di Corti che, per posizioni ideologiche e scelte stilistico-letterarie, non ha nulla a che vedere con i suoi contemporanei.
“Eppure ha scritto le più belle pagine della nostra ritirata di Russia – ha concluso Brevini – e, visto che ogni lettore ha il diritto di fare le proprie scelte, io scelgo le pagine di guerra, mentre amo meno quelle dal tono più predicatorio”.
Giovanni Santambrogio, caporedattore responsabile de Il sole 24 ore Domenica ha parlato di “Storia, persona e Fede nell’opera di Corti”, riferendo dell’incontro con Corti quando si sono trovati insieme nella giuria di un concorso di poesia all’istituto Don Gnocchi di Carate: “Ricordo l’impiego e la professionalità nel leggere e nello scegliere le poesie dei giovani autori. Un atteggiamento che dice molto della sua persona”.
Per Santambrogio l’uomo di Corti è “un uomo in viaggio nella storia, un uomo di fede che ha per compagna la provvidenza, un uomo protagonista della storia e dentro la storia, anche se sa bene che il destino ultimo non è nelle sue mani”.
Paola Scaglione, la biografa di Corti, ha incentrato il suo intervento sulla Brianza e la storia della sua gente nell’opera di Corti: “Su 1274 pagine de Il cavallo Rosso, solo un terzo descrivono fatti ambientati in Brianza. Eppure la Brianza è ovunque, è il centro unificante ideale, è il luogo dove si ricostituisce l’ordine e il senso del bello”. La Brianza è nel pensiero di Manno che ripensa alla sua casa prima di morire, è negli occhi di Stefano che immagina di tornare a salutare la madre prima di lasciare questo mondo, è nel ritorno di Pierello alla sua cascina. “Le storie dei singoli, diventano esempi universali”.
Non poteva mancare un intervento di Cesare Cavalleri, direttore di Ares, l’unico editore che accettò di pubblicare il cavallo rosso: “Corti non è un antimoderno – ha detto – è profetico e il profeta non è riconosciuto dai suoi contemporanei, ma lui scrive per il futuro, è uno degli autori del Novecento che resteranno vivi nella memoria ed è bello che la sua candidatura al Nobel sia nata così, da un’iniziativa popolare”.
(Rosella Redaelli, 17/11/10, Il Cittadino MB)