Eugenio Corti, lo «scrittore del Regno». L’incontro in Ambrosiana

L'archivio di Eugenio CortiAlla scoperta dell’archivio personale del letterato brianzolo. Intervista alla biografa Paola Scaglione

«Su Eugenio Corti c’è ancora molto da scoprire» spiega a Tempi Paola Scaglione, biografa e massima conoscitrice dello scrittore brianzolo. Proprio di questo tratterà l’incontro “L’archivio di Eugenio Corti. Dall’officina dello scrittore alla consultazione scientifica: lavori in corso” previsto presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano lunedì 3 febbraio alle 16.00. Lo scrittore (Besana in Brianza 1921- Besana in Brianza 2014), celebre per il capolavoro a sfondo autobiografico Il cavallo rosso edito nel 1983 (siamo alla 35esima edizione), era grande amico di Tempi fin dalla sua fondazione, oltre che autore di alcuni articoli per il nostro giornale.

«La letteratura attaccata alla vita»
Nella sua lunga carriera l’autore ha raccolto e conservato una mole sterminata di lettere (più di 5.000), recensioni, quaderni di lavoro e diari personali. «Non era tipo da libri postumi o articoli sui giornali che raccontano di “quello che non era mai stato detto su di lui”», spiega Scaglione, ma di certo presentare lo stato dell’arte dell’archiviazione mostrerà ancor di più la sua idea di «letteratura attaccata alla vita», a cui la biografa lavora dal 1994.

«Corti voleva che questo materiale fosse utile soprattutto come testimonianza per i posteri tra 100-150 anni. Ai contemporanei credeva di avere già lasciato tutto ciò che era nelle sue facoltà, per questo decise che il luogo più indicato e sicuro fosse l’Archivio Ambrosiano». Dal 2016, quando vi furono trasferiti i suoi carteggi, è già stata catalogata e resa disponibile agli utenti la sua biblioteca privata, comprensiva dei suoi libri appuntati e del materiale utilizzato per numerose opere.

Se stesso fino alla fine
«Dai primi passi nel suo studio – spiega Scaglione, ricordando la sua prima intervista a Corti, – mi resi conto che lo scudo di domande dietro cui si può nascondere un giornalista non poteva durare, la curiosità e l’interesse suscitati da quell’uomo erano troppi». Da lì nacque un legame di grande stima reciproca che portò a una collaborazione pluridecennale e alla successiva pubblicazione della biografia di Corti (Parole scolpite, 2002, Edizioni Ares).

«È rimasto fedele a se stesso fino alla fine – continua la giornalista-, con una costante apertura verso l’Eterno. Nell’ultimo nostro incontro mi disse “ricordati che la speranza è la certezza della presenza di Dio nella storia e questo nessuno potrà mai togliertelo”». Affermazione che assume un certo valore se pronunciata da un uomo sfiorato centinaia di volte dalla morte. Su tutti l’episodio raccontato nel suo I più non ritornano. In una buca della vallata di Arbusov, nei pressi del fiume Don, un cecchino sovietico gli sparò, il proiettile bucò il suo passamontagna a pochi millimetri dalla giugulare, lasciandolo miracolosamente illeso.

«Scrittore del Regno»
Corti scoprì la letteratura in collegio, al primo anno dopo le elementari, quando per la prima volta si trovò in mano un libro di Omero, «capace di trasformare in bellezza tutte le cose di cui parlava». Da lì capì che la sua vita doveva essere dedicata alla scrittura. Di cosa ancora non lo sapeva.

Venne poi la Seconda Guerra Mondiale e la chiamata alle armi. L’autore, allora poco più che ventenne, si trovò nella condizione di poter decidere su quale fronte andare a combattere. Da poco aveva sentito parlare di una terra dove la politica impediva di credere in Dio, voleva confrontarsi senza pregiudizi con quel popolo. Partì così per la Russia, dove visse l’esperienza del fronte e la successiva ritirata, «scoprendo che il regime aveva fatto cose terrificanti». Queste le parole rilasciate al nostro giornale nel 2007, quando a 86 anni, ancora vispo, accoglieva nella sua villa, la stessa in cui era nato, cronisti, amici e numerosissimi lettori appassionati che desideravano conoscerlo di persona.

Una gelida notte in prima linea, quando ormai la morte gli sembrava imminente, fece un voto. Promise alla Madonna che avrebbe dedicato tutta la vita al secondo versetto del Padre Nostro, quel «venga il tuo Regno», se lo avesse salvato. Da allora si definì «scrittore del Regno» e non smise mai di testimoniare la sua esperienza attraverso incontri e libri.

La Brianza e i «due santi»
Indissolubile per Corti fu il legame con la sua terra d’origine, ambientazione di molti suoi romanzi, la Brianza che lui aveva conosciuto da bambino, cattolica e «paolotta», come amava definirla, incline al lavoro ma anche all’arte (più di Milano secondo lui). Furono tante le persone che gli cambiarono la vita, ebbe l’onore di conoscere e farsi amico «due santi», don Carlo Gnocchi e don Luigi Giussani, e poi il teologo Cornelio Fabro, di cui nutriva grandissima stima, e don Luigi Negri.

Altra figura cardine della sua vita fu François Livi, ordinario di letteratura italiana alla Sorbona di Parigi. Fu il primo in Francia a intuire il valore della sua opera e a promuoverla in tutto il paese, dove i suoi scritti ebbero un successo straordinario. «Ricordo ancora quando Eugenio mi chiese di accompagnarlo a Parigi per un evento letterario – ci racconta Scaglione -, trascorse dieci ore filate a firmare copie, senza avere neanche il tempo per alzarsi, né tantomeno per pranzare».

La politica e il Nobel
Tra le sue esperienze non mancò l’impegno politico, che vide il suo culmine – «fermai la scrittura del Cavallo rosso per sei mesi», ricordava parlando di quel periodo – nel sostegno per il referendum abrogativo della legge sul divorzio del 1974. Corti divenne il vice presidente del comitato lombardo per il “sì”. Dopo anni ancora considerava quell’esperienza come «una delle più entusiasmanti della mia vita». Del resto lo scrittore non ebbe mai timore di prendere una posizione, senza la paura di battere i pugni sul tavolo anche contro acclamati esponenti del panorama culturale, da Umberto Eco a Emmanuel Mounier. Anche per questo, per decenni fu snobbato da gran parte della stampa e della cultura italiana, che dovette ricredersi di fronte al suo grandissimo successo internazionale.

Una delle ultime grandi soddisfazioni per l’autore venne nel 2011, quando un comitato popolare promosse la sua candidatura al Premio Nobel per la letteratura, sostenuto poi anche dalla Provincia di Monza e Brianza e dalla Regione Lombardia. Raccolsero 8000 firme, «mi fa immenso piacere, ma non nutro speranze di vincere perché sono “troppo cattolico” per la giuria di Stoccolma», affermò lui, schietto e lucido fino all’ultimo.

(Giuseppe Beltrame, 02/02/25, Tempi)