La libertà differenziata dei meridionali

Il cavallo rossoIl mezzogiorno d’Italia ha ragione di dolersi dell’autonomia o piuttosto della libertà differenziata? La prima è “differenziata” nella formula giornalistica, che confonde poteri giuridici e risorse economiche. Le attribuzioni delle regioni non mutano da Nord a Sud; mutano le entrate tributarie, che alimentano la spesa; ma ciò, a ben vedere, non riguarda il quadro normativo, all’interno del quale si esercita l’autonomia regionale, chiamata a torto “differenziata”.

Al contrario, la libertà dei meridionali è realmente differenziata ab illo tempore da un quid che attiene al quadro normativo, i cui effetti si riverberano sulle risorse economiche, giacché a minore libertà corrisponde minore dinamismo economico. Ce lo dicono i personaggi del “Cavallo rosso” di Eugenio Corti. Manno approdò nel 1942 a Mazara del Vallo, dopo una fuga avventurosa da Tunisi su una barca di fortuna; “la pratica” di sbarco presso la Capitaneria “si dimostrò tutt’altro che semplice … ma qui si era nel ‘profondo sud’, legalitario e formalista e cavilloso, e per questo suo modo di essere frustrante qualsiasi iniziativa” (pag. 424 dell’edizione integrale).

In sintesi, il più grande scrittore italiano dei nostri tempi individua nella “frustrazione dell’iniziativa” l’elemento che caratterizza il “profondo sud”, affetto da “legalismo”. Capovolge la prospettiva che individua nel deficit di legalità il male che affligge il Sud e correlativamente nella somministrazione di una maggiore dose di legalità la terapia da seguire. Ciò che caratterizza il “profondo sud” non è il deficit di legalità, bensì il surplus “legalitario” che imbriglia l’iniziativa privata e paralizza la dinamica socio-economica. La frustrazione dell’iniziativa è l’effetto; l’accezione legalitaria, formalistica e cavillosa delle norme la causa. Se l’iniziativa del meridionale incontra più ostacoli, ciò è dovuto all’eccesso di “legalismo”, non già al difetto di ossequio alle leggi.

Solo che l’ossequio è formalistico e cavilloso; e ciò determina la paralisi. Ovviamente la vera ragione del formalismo e della cavillosità deve essere a tal punto antica e radicata, da giustificare la riflessione di Manno riportata al 1942. Essa si può ravvisare nella esasperazione del principio di diffidenza, che presiede da sempre alle relazioni tra la pubblica amministrazione e il cittadino meridionale. Manno non a caso osserva l’effetto di “frustrazione” e congettura sulla “cavillosità” del “profondo sud”, nel suo primo contatto con l’autorità amministrativa di Mazara del Vallo. Egli non coglie una specificità dell’uomo meridionale; non lo descrive come indolente e pigro, alla maniera trita degli osservatori superficiali; semmai coglie la “lentezza-effetto”, avendo individuato la ”cavillosità-causa”. Ebbene il cavillo è l’epifenomeno della diffidenza.

Chi presume la malafede dell’interlocutore assume la posizione difensiva del diniego o almeno del rinvio, da doversi giustificare col cavillo. Non vuole concedere, perché non vuole rischiare. La connessione lentezza-cavillosità ci conduce dunque alla diffidenza. Ne dobbiamo dedurre che nel Mezzogiorno regna il sospetto più che altrove. L’addendum di sospettosità si può far risalire molto addietro nel tempo, ma ai nostri fini basta osservare che oggi la libertà degli italiani è ulteriormente differenziata. L’iniziativa dei meridionali è frustrata, in ragione di un fardello burocratico più pesante, giustificato in nome della “legalità”. La malafede del meridionale è presunta, pertanto sono necessari infiniti “protocolli di legalità”, che in altre parti del mondo non sono necessari. Il meridionale gode poi del privilegio della responsabilità per relationem, in virtù della quale può essere sottoposto a misure gravemente afflittive, chiamate di “prevenzione”, per fatti commessi da terzi o addirittura semplici sospetti su terzi. In sintesi, il circolo vizioso paralizzante può essere così descritto: il meridionale è ritenuto propenso a non rispettare la legge; da qui la cavillosità interpretativa e maggiori controlli di “legalità”; e alla fine una minore libertà di iniziativa. Non sarebbe meglio presumere la buona fede, fino a prova contraria, come pare si faccia nel resto del mondo civile?

(Michele Gelardi, 08/07/24, L’Identità)