«La vita di Eugenio Corti per verità e bellezza»
La sua ricerca di consegnare al lettore un’opera d’arte, suscitando con le parole idee ed emozioni, era allo stesso tempo un invito a cogliere il legame profondo con il Creatore. Una lezione appresa quando era studente all’Università Cattolica da monsignor Francesco Olgiati
Eugenio Corti vive tutta la sua esistenza mettendosi al servizio della verità e della bellezza. Le considera come le due colonne di un arco romano che « si fondono» tra loro. Non c’è pagina che abbia scritto senza tenere a mente questo binomio inscindibile. La sua grandezza sta nell’essere riuscito a farte coincidere pienamente non cedendo mai al pressappochismo o al sentito dire e neppure all’evasione o al capriccio estetico. Perseguire la verità, per lui, significa raccontare, descrivere, riportare eventi e situazioni vissuti in prima persona oppure raccolti da testimonianze attendibili.
Significa andare a vedere con i propri occhi determinati luoghi, cercare tracce e testimoni. Significa studiare le fonti, la storia, fare ricerca. Ma questa verità porta anche la lettera maiuscola: è imprescindibile, per lui, paragonare quello che vede, prova e sente, a quel Dio che incarna «la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14, G). Infatti, la realtà che lo circonda richiama il divino: un fiore, un uccello, un tramonto, una bella donna, tutto è segno che esiste Qualcuno che ha creato il mondo e ciò che lo contiene.
Il suo compito è dunque quello di consegnare al lettore non una pagina qualsiasi ma un’opera d’arte. Egli non copia la realtà, non la fotografa, ma la rende vera perché, attraverso le sue parole, suscita un’idea, un’emozione, un piacere, invitando a cogliere il legame profondo con il suo creatore. Egli ricrea il vero perché lo imita, esprimendo l’anima delle cose e delle persone descritte o presentate; pertanto, i suoni, i colori, le forme generate nella mente del lettore ridanno vita a ciò che viene rappresentato. Eugenio ricostruisce il rapporto tra la materia e la forma, ossia tra il sensibile e l’intellegibile. E’ una verità che porta alla bellezza e, a sua volta, è una bellezza che rimanda alla verità. Possiamo così riassumerla nel grande assunto aristotelico-tomistico: nel particolare si trova l’universale.
È una lezione che il giovanissimo Eugenio, matricola di giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, apprende da monsignor Francesco Olgiati, il quale gli aveva dato da meditare un suo articolo: Poiché per i nostri vecchi, si aveva l’arte, quando l’attività dell’artista riusciva, mediante il sensibile, a esprimere l’intellegibile; mediante il concetto, a suggerirci l’astratto; mediante il particolare, a rappresentare l’universale, mediante l’immagine o mediante la materia, a esprimere, a suggerire, a rappresentare l’idea, ossia la forma. Il trovare un sensibile, un concreto, un particolare, una parola, un suono, un colore, un contenuto insomma che, contemplato dall’occhio della mente (non visto dall’occhio d’un bue), le riveli lo splendor formae e le faccia rifulgere l’idea: ecco che cos’è l’arte, – la quale suscita gioia mediante la visione, prescindendo dalla realtà e dall’irrealtà della cosa rappresentata, – e perciò stesso è catarsi, è liberazione, è un volo nel cielo dello spirito mediante le ali fornite dalla materia, è un’affermazione dell’uomo. Chi ha avuto l’umiltà e il coraggio di leggere le opere cortiane non può che asserire che quest’insegnamento è stato compreso, custodito e fatto fiorire.
(Elena Rondena, 10/09/24, Avvenire)