Vanda, all’origine della bellezza dei libri di Corti

Vanda dei Conti di MarscianoEugenio Corti incontrò la futura moglie mentre attendeva di essere chiamato a sostenere l’ultimo esame all’Università Cattolica di Milano. Quando fu il suo turno, ebbe fretta di terminare l’interrogazione per paura di non ritrovare più quella ragazza che aveva conosciuto poco prima.

Fu così che fu bocciato. Era il luglio 1947. Corti riuscì a rivedere la ragazza con cui aveva scambiato qualche parola prima della prova, si recò poi in visita a casa sua senza trovarla, infine le scrisse una lettera, datata 14 luglio 1947:

“Quando ho visto te, mi è sembrato che la tua bellezza esteriore non fosse, come molte, soltanto esteriore, ma fosse lo specchio di quella dell’anima. Per questo ho desiderato conoscerti e divenirti amico. Tu hai accennato a una tua grande sofferenza. […] Anch’io ho molto sofferto. Quello che io sono lo potrai leggere in un libro”.

Si trattava de I più non ritornano, il primo diario pubblicato sulla guerra in Russia, relativo a 28 giorni trascorsi in una sacca sul fronte.

Corti amava moltissimo la scrittura e continuò a comunicare per anni con Vanda e con gli amici attraverso le lettere. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, Corti aveva raccontato la sua esperienza umana e storica nelle lettere scritte dal 6 giugno 1942 al 29 gennaio 1943, che sarebbero state pubblicate con il titolo Io ritornerò nel 2016 (Edizioni Ares), un testo dalla grandissima rilevanza letteraria, perché quell’epistolario era una vera e propria fucina di uno scrittore che aveva già scoperto la sua vocazione.

Già dal 1940 Corti aveva iniziato ad affidare a un diario-zibaldone le sue riflessioni sulla vita, sulla guerra, sull’amore. Corti aspettava e sognava l’amore, quello eterno, che non l’avrebbe mai più abbandonato per tutta la vita. Dedicò addirittura i suoi ricordi memoriali a quella donna che ancora non aveva incontrato e promise che ne avrebbe parlato diffusamente il giorno che l’avesse conosciuta:

A te
che ancora non conosco
e che un giorno diventerai
la compagna della mia vita,
ai tuoi grandi occhi
lucenti
questi diari,
sui quali certamente mi accadrà di narrare il nascere del nostro amore.

Corti non riuscì, però, a mantenere la promessa e nel diario sarebbe comparso di lei solo un fugace accenno: «Dovrei ora parlare di V., più importante di quanto detto finora, ma non lo faccio». Era il novembre 1947. Poco tempo dopo Corti interruppe il diario e dedicò all’amata lettere molto intense.

«Da giovane», mi raccontava Vanda Corti in un’intervista del 2016, «Eugenio è sempre stato in attesa di conoscere la donna che il Cielo gli avrebbe fatto incontrare. C’è una pagina di diario, scritta quando aveva vent’anni, in cui Eugenio attesta la certezza e, nel contempo, l’attesa gioiosa di incontrare la fanciulla che sarebbe diventata la compagna della sua vita. La sua era una visione stilnovista, la donna è un miracolo del Cielo, come la Beatrice di Dante. Nelle pagine di diario si vede questa attesa continua. Ma non c’era una ragazza che gli andasse bene. Prima di me si era innamorato di Margherita, che è stato un amore platonico, da cui rimase deluso, perché la ragazza gli apparve presto diversa da come si era immaginato».

Vanda confidava, poi, che non era certa che avrebbe pubblicato le lettere che Eugenio le aveva inviato negli anni di fidanzamento e nei primi anni di matrimonio. Ora, finalmente, esce pubblicata da Ares la silloge «Voglio il tuo amore». Lettere a Vanda 1947-1951. Le lettere attestano il rapporto tra lo scrittore e Vanda: il primo incontro all’Università Cattolica, gli anni del fidanzamento fino al matrimonio celebrato ad Assisi il 23 maggio 1951 dall’amico don Carlo Gnocchi.

Il libro riporta anche le lettere che Vanda scrisse in risposta a Eugenio durante il fidanzamento. Poche settimane prima del matrimonio, il 7 maggio 1951 Vanda riconosceva con gratitudine la grazia di aver incontrato Eugenio: «In questi giorni mi sono sentita circondata dal tuo affetto, lo sento sempre come un dono, che possiedo sicuramente, che nessuno mi potrà togliere ed è questa sicurezza che mi dà la gioia più grande». La fidanzata rilesse in quei giorni quasi tutta la corrispondenza che il fidanzato le aveva inviato: «Ho ritrovato tutto di te, i tuoi entusiasmi e le tue ire, i momenti di serenità e di pessimismo. Ma, in un modo o in un altro, c’era sempre scritto che tu mi hai amata, fin dal primo incontro, quando mi hai visto là sulla scaletta di san Francesco, con una forza e una determinazione che hanno costretto me ad amarti. Qualche tua lettera mi ha veramente commosso».

Vanda scrisse, poi, del libro di Corti appena pubblicato da Garzanti il 2 maggio 1951 ovvero I poveri Cristi (sarebbe stato pubblicato da Ares nel 1994 in veste rielaborata con il titolo Gli ultimi soldati del re). Vanda lo lesse con un interesse particolare: «Io cerco te nel libro: voglio conoscere la tua storia di anni, quando ancora non ti conoscevo. Ma spesso ti ho dimenticato e mi sono lasciata attrarre solo da quello che racconti. Ti amo tanto. Non posso più concepire la mia vita se non unita profondamente a te».

Nell’epilogo della raccolta epistolare Vanda sintetizza gli anni del matrimonio: i periodi di profonda intesa alternati ad altri di scontro, le delusioni del marito per il successo clamoroso mai arrivato, neanche dopo l’uscita de Il cavallo rosso («i lettori erano sì molti» scrive Vanda «ma nella completa indifferenza della stampa ufficiale e della critica»), il senso di inutilità di lei che si tradusse nella poesia Andando che recitava «Voglio tornare alla mia terra». Era il 1993.

Eugenio Corti rispose alla moglie con una lettera: «Per due volte parli di te stessa come di una “che non ha dato frutti”: ma non è vero, la realtà non è questa. La mancanza di figli della carne è evidente; anch’io un tempo li desideravo, ma noi due non eravamo chiamati a questo: la nostra unione, nei disegni di Dio, non aveva questo fine. […] I nostri veri figli sono i nostri libri che non vengono solo da me, ma anche da te. Essi si reggono interamente – come sai – su due colonne: la verità e la bellezza, e senza di te al mio fianco e sotto i miei occhi tutti i giorni, la loro bellezza non ci sarebbe stata, o sarebbe stata enormemente monca, cioè appunto, in conclusione non ci sarebbe stata».

Corti riconosceva di aver contro la cultura dominante dell’epoca contemporanea, ringraziava Dio di non aver goduto in vita del grande successo (per non cedere alle tentazioni dell’orgoglio), invitava la moglie a continuare a cercare in sua compagnia solo il Regno di Dio (che è tutto ciò che occorre). «Forse non è facile per una donna condividere una tale impostazione di vita»: ma la sua Vanda non è «una donna comune, bensì nobile, e di antica nobiltà, in tutti i sensi».

(Giovanni Fighera, 03/02/24, La ragione del cuore)