Corti conquista la Francia
In Francia, a Nizza, si sta svolgendo il Salone del Libro, e uno degli ospiti illustri della manifestazione è uno straniero, un italiano: Eugenio Corti.
Il suo “Le cheval rouge” appena pubblicato oltr’Alpe per i tipi editoriali della prestigiosa L’Age d’Homme (si tratta de “Il cavallo rosso”, Ares, Milano, 1983, in Italia alla decima edizione), è già davvero – come “profetizzava” François Livi nell’introduzione – un caso letterario. Qualche settimana fa si è rivelato un grande successo al Salone del Libro di Parigi e alla Sorbona, dove è stato presentato al pubblico e agli studiosi. Ora si replica sulla Costa Azzurra, in una località spesso al centro non solo delle cronache mondane, ma anche della vita culturale del paese. Relegato in un cantuccio dai Soloni di casa nostra (nonostante il grande successo di pubblico e l’attenzione di alcuni critici veramente seri), all’estero Corti sta divenendo sempre più noto, sempre più popolare, sempre più amato.
Ma in patria le ragioni dell’ostracismo sono più che palesi per un autore affatto ligio al dettami dei commissari politici della cultura. Cattolico serio e integrale senza incarnare del tradizionalismo certe caricature, Corti è stato vicino e ha partecipato alle vicende politiche del cattolicesimo politico italiano e alla Democrazia Cristiana, ma è stato anche un severo e giusto critico delle loro molte mancanze culturali, formative, ideali e programmatiche (come ha scritto in diversi saggi, ma specialmente nell’opuscolo “Breve storia della Democrazia Cristiana, con particolare riguardo ai suoi errori” del 1995, ora inserito nel fortunato “Il Fumo nel Tempio”, Ares 1996).
Fustigatore dell'”umanesimo integrale” di Jacques Maritain e della confusione da esso introdotta nei ranghi del movimento cattolico soprattutto italiano, oltre che denunciatore (nella linea del magistero di Papa Paolo VI) del “fumo di Satana” penetrato nel “sacro recinto” della Chiesa, lo scrittore è sempre stato un fedele e devoto seguace della dottrina sociale cattolica. Ex combattente sul fronte russo e poi nelle fila dell’Esercito del Sud a fianco degli Alleati contro le truppe del Terzo Reich, Corti ha vestito una divisa regolare e non si è mai confuso con le bande dei partigiani comunisti del “Triangolo rosso” e dei territori italici orientali, auspicando in più di un’occasione un’autentica riconciliazione nazionale con quanti – i giovani della Rsi – hanno ritenuto di combattere una guerra patriottica pur da un fronte avverso al suo. Non con odio, ma con spirito di dovere, amore per la Patria, desiderio di finire al più presto una guerra che lacerava i corpi e le coscienze, il nostro ha certo fatto la sua parte di grande italiano.
Nella quarta di copertina del suo romanzo “Gli ultimi soldati del re” (Ares 1994, 4° ed. 1997), l’editore sottolinea: “La storia di questi uomini, negli annali dell’Italia ufficiale, occupa un ruolo minore: fin qui si è preferito proporre, o anche imporre, la storia parallela della resistenza partigiana. E’ una delle ragioni per cui, con “Gli ultimi soldati del re” Eugenio Corti coglie ancora una volta di sorpresa il panorama storico e narrativo italiano”. Che tutto questo, poi, si potesse dire con una prosa e una capacità narrativa vere, dirette, efficaci, la nostra Cultura ufficiale non l’ha mai digerito.
Un recente sondaggio del quotidiano Avvenire ha rivelato che Corti è il più amato scrittore vivente di ispirazione cristiana: il suo grande romanzo “cattolico”, il cavallo rosso, rispettoso della storia, ma non dei miti elaborati a tavolino dagli storici, oggi italianissimo e al contempo sempre più internazionale, contribuisce a riscattare l’immagine del nostro Paese sulla scena europea e mondiale. Almeno a livello letterario, visto che all’estero non si fa che incontrare traduzioni di Umberto Eco, ovvero un’Italia corrosivamente caricaturale e progressisticamente relativista e nichilista, di cui se ne ha più che abbastanza.
François Livi, in Francia, ha scritto: “La forza della verità è l’ossatura che sostiene Le cheval rouge. Ma Eugenio Corti ha anche scritto un grande romanzo: il soffio epico, la varietà dei registri stilistici, la verità e la forza delle passioni rappresentate avvincono il lettore fin dalle prime pagine. Probabilmente destinato a resistere all’usura del tempo, Le cheval rouge fa pensare al Manzoni, ma anche ai grandi romanzieri russi, a Tolstoj in particolare. Il caso Eugenio Corti mostra in definitiva come la passione della verità – anche se anticonformista – può ancora vincere delle battaglie culturali. Lo spirito della libertà non ha totalmente abbandonato la letteratura”. I nizzardi se ne stanno accorgendo in questi giorni, ma l’Italia ufficiale continua a ignorare i suoi veri italiani.
(Marco Respinti, Il Secolo d’Italia, 02/07/1997)