Eugenio Corti e la “Quercia di Dio”
Le parole di Eugenio Corti sono scolpite ancora oggi nel mio cuore. Ricordarlo, quest’anno che ricorrono i cent’anni della nascita, è per me molto più che una circostanza formale. Non è neanche con intento agiografico o storico che voglio soffermarmi sulla sua figura. Vorrei piuttosto richiamare alcune parole che nella persona e negli scritti di Eugenio hanno trovato e trovano un posto privilegiato e possono costituire, anche per chi non lo ha mai incontrato, un aiuto fondamentale a vivere autenticamente da uomini.
La prima parola è la parola fede. Eugenio Corti è certamente stato un uomo di fede e in lui la fede è sempre stata la fede di un popolo: una fede personale proprio perché vissuta in una realtà di popolo che mangia, beve, dorme, vive e muore non più per sé stesso ma per Cristo, morto e risorto per noi. È, infatti, il popolo cristiano il vero e principale soggetto del suo narrare. Ritengo che l’attualità di Corti sia proprio da vedere nel modo in cui egli ha presentato la fede come un’esperienza assolutamente pertinente alla vita dell’uomo di oggi e, quindi, al senso profondo della sua umanità. Rendere implicito il riferimento alla fede, con la presunzione di salvarne al limite la purezza, è un’illusione irrealistica e riduttiva. La fede non si salva riducendola a misura puramente umana o cercando di individuarne i nessi con le problematiche umane. La fede risulta in tutta la sua straordinaria eccezionalità ponendola, oggi come tanti secoli fa, come l’unica possibilità di vera comprensione dell’uomo e della società. Noi abbiamo bisogno di una cosa sola: che la fede cattolica sia coraggiosamente proclamata di fronte al mondo e sia proclamata, con inesorabilità, come l’unica possibilità di salvezza per l’uomo e per l’intera società. Corti è stato indubbiamente maestro in questo, nella sua vita come nelle sue opere.
Tuttavia, in lui il protagonismo della fede è stato sempre accompagnato da una seconda parola: compassione. La fede o è capacità di compassione o rischia di essere ridotta a ideologia, senza più riuscire a incidere sul mondo. Invece, nella fede di Corti sono entrati i suoi soldati, con il loro volto, con il loro bagaglio di dolore, con la speranza che la cattiveria dell’ideologia dominante cercava di spegnere. Sebbene essi fossero costretti a morire per una causa ingiusta, umanamente incomprensibile, Corti ha vissuto e ha raccontato tali tremende vicende, nell’immensa tragedia che le ha caratterizzate, con la dignità dell’uomo di fede che vive in modo vero anche le esperienze ingiuste, trasformandole in rendimento di grazia.
La compassione è, pertanto, diversa dal pietismo che domina tanto mondo cattolico perché in Corti essa è diventata giudizio: giudizio sul mondo contemporaneo, in particolare giudizio sul comunismo. Non potranno essere più cancellate le sue pagine sul comunismo perché nessun altro lo ha analizzato e compreso, nel suo svolgersi storico, come ha saputo fare Corti. La compassione si è fatta giudizio sul mondo per ritrovare, dentro le viscere di questo mondo, l’uomo che l’ideologia aveva ammazzato e vilipeso, ma che non aveva potuto sopprimere nella sua dimensione più profonda, nel grido, nella domanda, nel desiderio del cuore.
Questa compassione, che è insieme giudizio, è stata rivolta da Corti anche verso la Santa Chiesa. Nei suoi scritti troviamo pagine di partecipazione commossa e dolorosa alla vita della Chiesa, anche ai momenti di smarrimento presenti nella sua storia. La compassione che giudica la Chiesa – non prendendone le distanze come ha fatto tanta contestazione di sinistra o tanto tradizionalismo di destra – è diventata in lui volontà di appartenenza. Corti ha vissuto tale appartenenza da laico, attuando la propria vocazione fino in fondo. E, ben prima dei vari tentativi di promozione del laicato, Corti ha dimostrato che il laico, cioè il battezzato, può contribuire alla vita della Chiesa e al cambiamento del mondo vivendo la missione come dimensione costitutiva della propria vita, nel caso specifico eminentemente attraverso la cultura e la sua intensa opera letteraria. Queste parole, sulle quali mi sono soffermato – fede, compassione, intelligente capacità di giudizio e autentica volontà di appartenenza alla Chiesa –, rendono Corti un grande testimone di Cristo di fronte al mondo.
Per concludere vorrei richiamare una delle più belle e tenere immagini di Dio presenti nell’Antico Testamento. Dio è paragonato a una quercia all’ombra della quale si può sostare per poi riprendere il cammino con più slancio. Posso dire che, per me come per tante altre persone, l’incontro con Corti è stato davvero l’incontro con questa quercia di Dio che si è resa manifesta attraverso la sua presenza e la sua testimonianza.
(mons. Luigi Negri, marzo 2021, Studi Cattolici)