Perché San Pietro è un tipico italiano
Torna anche quest’anno la festa di san Pietro. I giornali hanno appena finito di parlare del quindicennio di Papa Paolo VI, il quale nell’udienza generale di mercoledì ha definito il proprio pontificato “fuggente e quasi terminato”.
Al di là della filiale commozione che queste patetiche parole suscitano, ci vien di fatto da chiederci se il prossimo papa sarà ancora italiano. I cardinali italiani sono adesso in minoranza: la serie di Papi di nazionalità italiana, che dura ormai ininterrotta da alcuni secoli, potrebbe facilmente col prossimo Papa interrompersi. Non essendo noi nazionalisti – appunto perché cattolici – tale prospettiva, ancora più che lasciarci indifferenti, ci fa piacere: gli italiani rappresentano ora meno del dieci per cento dei cattolici, sarebbe più che normale dunque un Papa non italiano.
Affiora anzi la domanda (non irrilevante per noi convinti che la scelta del Pontefice è determinata dallo Spirito Santo) come mai la Chiesa in due millenni sia stata guidata da così gran numero di Pontefici d’origine italiana. Se pensiamo alle filosofie che hanno permeato nei secoli più recenti le culture (e dunque anche gli spiriti) nelle altre principali nazioni europee, per questi ultimi secoli la risposta viene automatica: l’Italia – pur senza ignorarle – non è stata influenzata che di riflesso da tali culture non certo cristiane. Al punto da trovarsi un po’ al margine della storia quando esse si sono fatte trascinanti (concretandosi tra l’altro, per ciò che concerne la sorte dell’uomo, nei grandi stermini delle guerre nazionalistiche, dalle lotte razziali, dalle lotte di classe).
Per gli ultimi secoli dunque non esiste problema: anzi viene perfino la tentazione di pensare che sia stata la Provvidenza a tenere l’Italia – centro della cattolicità – al margine di quei flussi culturali (col vantaggio di risparmiarle le stragi ed altro, però anche con l’inconveniente di farla giungere solo in un secondo tempo a certe importanti realizzazioni: ogni fenomeno ha i suoi aspetti positivi e negativi: chi ha letto i nostri articoli sul dramma in corso da duemila anni tra il popolo ebreo e Dio, si rende conto meglio di cosa intendiamo dire).
Per gli ultimi secoli quindi d’accordo. Ma, e quelli precedenti? Nel più lontano corso della storia, quando il mondo raggiunto dal Messaggio era – sia pure molto imperfettamente – cristiano, gli italiani non si sono comportati, ci sembra, in modo più avveduto degli altri. Come mai dunque spesso il pastore supremo è stato scelto tra di loro?
Il Maestro e la suocera
Confessiamo che questa domanda ci ha lasciato interdetti per un pezzo, fino a quando… ci siamo imbattuti in San Pietro. Del quale abbiamo finito col notare – ed è stato un momento davvero illuminante – la straordinaria somiglianza di comportamento con gli italiani; “Guarda: si direbbe che era nato per l’Italia, la quale lo attendeva per farsi un po’ alla volta simile a lui…”.
Pietro umano, che unico ha mescolato il Maestro alle cose della propria casa, tirandovelo a guarirgli la suocera; che in un momento di esaltazione, straparlando (“Signore, è bello stare qui!”) aveva proposto di costruire tre tende, perché Cristo trasfigurato e Mosè ed Elia vi abitassero sotto alla maniera degli uomini; che quando Gesù cominciò a parlare apertamente della propria morte e resurrezione, non si peritò di prenderlo in disparte e biasimarlo, tanto da ricevere quel suo fiero rimprovero; che chiese a Cristo d’invitarlo a camminare sulle acque, per dimostrare la propria fede, e infatti camminò sulle acque, poi, nel mezzo del grande miracolo, quando nessuno avrebbe più dubitato, si lasciò invadere dal dubbio… Che non voleva consentire all’umile Cristo di lavargli i piedi, e al suo rimprovero, esagerando in senso opposto, gli chiese d’essere lavato tutto (in questo caso più ancora che italiano s’è dimostrato napoletano).
Pietro che unico si avventò e colpì con la spada per difendere il Maestro, l’ultima sera, e subito dopo, unico, apertamente lo rinnegò. Che dopo tanti miracoli da lui stesso compiuti, fino a risuscitare i morti, abbandonò forse il posto di capo a Roma, nell’ora della persecuzione, costringendo il Cristo a fermarlo sulla via Appia.
I migliori tra gli apostoli
Pietro non era affatto il maggiore, a guardar bene, degli apostoli. Non fu prescelto a scrivere il Vangelo: mancandogli la scienza sacra del primo evangelista, non era adatto a sistemare la verità nuova tra le antiche; peccatore, non era come il quarto evangelista, Giovanni più che uomo, adatto a sistemare il Messaggio tra natura e sopranatura; neanche impersonava l’uno o l’altro dei due maggiori tipi umani d’allora (di sempre, forse?): non aveva infatti un animo greco come Luca né romano come Marco. Sebbene egli fosse, non dimentichiamolo, l’espressero di Marco. Non era neanche un conquistatore nato, come Paolo.
Eppure a vicario di Cristo in terra venne scelto Pietro, non il maggiore ma il più pienamente umano fra quelli che stavano intorno a Gesù; il più italiano fu scelto dallo stesso Signore Gesù a suo vicario e a centro di tutti.
(27/06/78, L’Ordine)