Giuseppe Langella: «Lo scrittore Eugenio Corti profeta del Novecento»
A 100 anni dalla nascita dell’autore de “Il cavallo rosso”, parla il direttore del Centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’ Italia unita” dell’Università Cattolica di Milano che dal 2016 promuove il “Cantiere Eugenio Corti”, insieme di iniziative culturali ed accademiche per onorare la memoria dello scrittore e portare avanti gli studi sulle sue opere. In questo ambito è nato un Premio internazionale che ne porta il nome, giunto nel febbraio 2020 alla terza edizione.
Chi era Eugenio Corti e perché la sua figura è così importante per la letteratura contemporanea?
Eugenio Corti è stato uno scrittore impegnato, che ha vissuto la propria vocazione letteraria come l’adempimento di una missione insieme civile e religiosa. Molti altri intellettuali della sua generazione, usciti da una dittatura e dalla prova tremenda della guerra, hanno condiviso con lui la passione militante e la tensione palingenetica. A questo “spirito del secolo” Corti ha aggiunto un afflato paolino, da apostolo delle genti. In tutta la sua opera, con una fermezza e una coerenza “tetragone ai colpi di ventura”, ha voluto rendere testimonianza alla sua fede robustissima, fondata sul duplice pilastro della dottrina cristiana e della devozione popolare.
Corti ha sentito, scrivendo, di obbedire a una speciale investitura. Ha avuto sempre ben chiaro che un giorno avrebbe dovuto render conto dell’ uso fatto dei talenti ricevuti. Per questo, non c’è una sola pagina, in Corti, che strizzi l’ occhio all’ ultima moda, che indulga al capriccio letterario o ceda al gusto dell’evasione. Corti rifugge da ogni narcisismo: non cerca il pezzo di bravura per strappare l’ applauso, semmai l’episodio toccante che smuova i sentimenti e risvegli la coscienza. La letteratura non è mai stata, per lui, un passatempo, ma un veicolo prezioso di verità, di principi, di modelli, di valori.
Corti non si è accontentato di essere un “figlio del secolo”: si è assunto, piuttosto, il ruolo di “profeta del suo tempo”, provando a leggerne i segni, anche tragici, le insidie e le minacce spaventose, senza mai deflettere o venire a compromessi, denunciando il male dove gli sembrava più radicato; non ha disdegnato, all’occorrenza, il confronto polemico, quando si trattava di difendere le “tavole della legge”; si è fatto anche, forte del suo credo, giudice della storia, in una prospettiva, però, escatologica, che non chiude mai le porte alla virtù teologale della speranza, come esemplarmente dimostrano la struttura e i titoli delle tre sezioni in cui è scandita la vicenda de Il cavallo rosso, comprensibile solo sulla falsariga dell’Apocalisse. Di questo libro visionario, che chiude la Bibbia, Corti ha assimilato anche il messaggio iniziale, affidato alle sette lettere che Giovanni indirizza alle Chiese asiatiche per scuotere gli animi tiepidi o incoerenti o arrendevoli o lassisti o intorpiditi dei cristiani e richiamarli a una vita di fede più integra e piena: anzi, di questa funzione di pungolo, di richiamo e di esortazione lo scrittore brianteo ha fatto, a ben guardare, la ragione stessa della sua scrittura.
Il romanzo-capolavoro di Corti, Il cavallo rosso, pubblicato per la prima volta nel maggio 1983, è giunto negli anni ad avere più di trenta edizioni italiane. È tradotto in otto lingue (tra cui il giapponese) e va piuttosto bene in Francia, dove Corti è stato elogiato anche da illustri critici, tra cui Sébastien Lapaque, critico letterario di Le Figaro, ed Etienne de Montety, direttore dell’inserto culturale Figaro Littéraire. Come si spiega un successo così duraturo negli anni, in Italia e all’estero?
Il successo de Il cavallo rosso costituisce indubbiamente un sorprendente caso letterario. La regolarità con cui si continua a ristamparlo, a cadenza grosso modo annuale, dal 1983 in avanti, è circostanza tutt’altro che frequente nel mondo editoriale, specie quando si tratti di novità librarie. Una vita così durevole (da longseller) è riservata in genere esclusivamente a quelle opere contemporanee che sono destinate a entrare nel canone letterario, a diventare dei “classici”. Il dato, per quel che riguarda Corti, è tanto più significativo se si pensa che Il cavallo rosso è stato pubblicato da una piccola casa editrice come Ares; senza dimenticare, peraltro, che un’edizione, la ventitreesima, uscì nel 2008 proprio come supplemento di Famiglia Cristiana, nella serie dei “Romanzi con l’ anima”, con introduzione di Ermanno Paccagnini.
La fortuna di un libro dipende, naturalmente, da molti fattori concomitanti, in cui entrano in gioco, fra l’altro, le strategie editoriali di lancio e di promozione, il contesto politico, la fama e gli orientamenti dell’ autore, i premi, le adozioni scolastiche e tutti i canali di mediazione e informazione culturale, incluso il passaparola dei lettori, che resta sempre, alla fine, il veicolo più efficace. Nel caso de Il cavallo rosso ha influito certamente l’accoglienza entusiastica riservata al romanzo di Corti da certe aree del variegato mondo cattolico, che ne hanno fatto una sorta di bandiera, di vessillo anche ideologico, di arma di proselitismo. Ma al di là di tutto, se un’opera letteraria raccoglie un così vasto consenso di pubblico, vuol dire che ha saputo toccare le corde profonde dell’ animo umano, che ha dato voce ai vissuti e alle attese di tante persone, che ha espresso una visione delle cose in cui un gran numero di lettori si riconosce.
Il cavallo rosso è un libro epico e corale, che racconta la vita, anzi “l’albero della vita”, coi suoi drammi e le sue gioie, i lutti, le battaglie, gli amori, le fatiche, la solidarietà e la devozione di un popolo, nell’orizzonte di un realismo cristiano che mostra l’ alterna vicenda del bene e del male in perpetua lotta, restituendo allo spirito e alla coscienza morale un’ attenzione e uno spazio narrativo altrove difficili da trovare.
Nel 2020, subito prima dello scoppio della pandemia, si è svolta la terza edizione del Premio Internazionale Eugenio Corti. Come è nato e quali iniziative prevede il Cantiere Eugenio Corti?
Il “Cantiere Eugenio Corti” è stato inaugurato nel 2016 con un’iniziativa congiunta della Sorbona e del Centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’ Italia unita” dell’Università Cattolica: un grande convegno a due ante, con apertura a Parigi (cfr. Le récit par images. Eugenio Corti 1921-2014, a cura di Lydwine Helly et François Livi, in «Revue des études italiennes», janvier-juin 2017) e chiusura a Milano (cfr. Al cuore della realtà. Eugenio Corti scultore di parole, a cura di Elena Landoni, Interlinea, Novara 2017). In occasione del convegno milanese la professoressa Vanda di Marsciano, vedova di Eugenio Corti, lanciò la proposta di dar vita a un premio di saggistica per promuovere, in particolare tra le nuove generazioni, lo studio dell’opera del marito, dichiarandosi pronta a sostenerlo economicamente con un contributo annuo dell’ Associazione Eugenio Corti da lei stessa fondata e presieduta.
Ne è nato il “Premio internazionale Eugenio Corti” di cui abbiamo celebrato, il 3 febbraio 2020, presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, la terza edizione. Il premio è suddiviso in due sezioni, una per un’opera a stampa (monografia, saggio o edizione) dedicata a Corti, l’altra per la miglior tesi di laurea (triennale o magistrale) o di dottorato. L’ edizione 2018 ha visto la collaborazione del Consiglio Regionale della Lombardia, che ha ospitato l’evento in una sala del Pirellone; nel 2019, ci ha offerto, invece, la sua partnership l’Associazione Italiana dei Centri Culturali e la manifestazione si è svolta presso il Centro Culturale di Milano. In tutti i casi abbiamo voluto che la cerimonia di premiazione fosse anche un’occasione per approfondire la conoscenza dell’ autore brianteo con una serie di interventi, affidati ai maggiori specialisti di Corti e agli stessi vincitori del premio.
A breve, a seguito della terza edizione, raccoglieremo in volume gli estratti delle tesi premiate, che stanno recando un contributo apprezzabile allo sviluppo delle indagini critiche sull’ autore. Il Premio è diventato la punta di diamante del Cantiere Corti, nell’ambito del quale sono sorte, però, anche altre iniziative, tra cui una tavola rotonda a Roma («L’eredità lasciataci dai padri». Eugenio Corti: un maestro per i nostri giorni), presso la sala “Aldo Moro” della Camera dei Deputati, a cui hanno partecipato parlamentari di diversi schieramenti politici, accademici e uomini di cultura; un concorso di scrittura («Sèmm al mund per vütass». Cultura del lavoro, solidarietà, fede nella Brianza di Eugenio Corti), in collaborazione con l’Assessorato alle politiche culturali del Comune di Monza, la Biblioteca Civica e l’Editore Cattaneo di Oggiono; e uno spettacolo sulla vita e sull’opera dello scrittore ideato e interpretato da Andrea Soffiantini e Paola Scaglione, con musiche dal vivo di Flavio Pioppelli, col sostegno della Fondazione della Comunità di Monza e Brianza.
Eugenio Corti è stato uno straordinario testimone del XX secolo, un’epoca tragica e meravigliosa allo stesso tempo. Anni fa lo scrittore ha affermato che la peculiarità del Novecento, rispetto a tutti i secoli precedenti, è stata che le idee, che prima si trovavano solo nei libri sulle scansie delle biblioteche, hanno “preso vita”, sono scese in mezzo alla gente facendosi sentire in maniera terribile nella vita di tutti, anche in quella degli abitanti dell’ultimo dei villaggi. In questo senso, le opere di Corti possono costituire una valida fonte per gli storici nello studio della nostra epoca?
Eugenio Corti, una volta arruolato, ottenne di essere destinato al fronte russo per rendersi conto da vicino della realtà sovietica. Tre dei suoi titoli più importanti: Il cavallo rosso, I più non tornano, Gli ultimi soldati del re, rievocano episodi vissuti in prima persona da Corti o sentiti raccontare dai loro protagonisti. Come scrittore, inoltre, Corti aveva il dono, tipicamente lombardo, dell’ esattezza.
Lo si vede anche dalla lingua precisa e dal disegno particolareggiato delle sue descrizioni, che non lasciano nulla nell’indeterminato, ma registrano in maniera accurata e minuziosa anche i dettagli. Dietro questo spirito di osservazione c’è quella facoltà di attenzione che è una prerogativa degli scrittori di razza e che in Corti è anche un retaggio della sua educazione cristiana, dove s’intrecciano le virtù morali della vigilanza e della laus creaturarum, della predilezione per gli ultimi e i minimi e della solidarietà. Tutto questo dà sostanza documentaria alla sua pagina memoriale: quando Corti riferisce esperienze dirette, si tratti della campagna di Russia piuttosto che dell’Italia dopo l’ 8 settembre del 1943 o della Brianza del secondo dopoguerra, offre allo storico contemporaneo una testimonianza affidabile e preziosa.
Leggendo il romanzo Il cavallo rosso, tra le varie cose, si rimane colpiti da una visione positiva e pura dell’amore tra uomo e donna, che stride con la banalità attuale, così come vi è una visione positiva del lavoro e del mondo imprenditoriale. Il tutto è immerso in un profondo realismo: non ci sono “eroi” ma persone normali, con pregi e difetti. La lettura del romanzo può forse trasmettere al lettore anche un po’ più di speranza nell’affrontare la vita di tutti i giorni, anche e soprattutto in questo periodo difficile che stiamo vivendo a causa della pandemia?
Il tessuto sociale dei nostri giorni è talmente cambiato rispetto ai tempi di Corti, che in effetti a più di un lettore vinto dallo scetticismo il mondo de Il cavallo rosso può sembrare fittizio, edulcorato a scopo edificante. Ma chi ha abbastanza anni sulle spalle da poter ricordare “come eravamo”, non trova nei personaggi di Corti, e nei sentimenti che li muovono all’azione e al rapporto con gli altri, nulla di strano o di inverosimile. Non c’era bisogno, allora, di essere degli “eroi” per vivere nel quotidiano le beatitudini dei semplici, dei miti, dei buoni, dei pazienti, degli altruisti, dei pietosi, dei poveri di spirito, dei puri di cuore. La riscoperta di quella civiltà dei valori incarnati dalla gente comune dovrebbe farci venire il desiderio di restaurarla raddoppiando l’impegno, perché i drammi e i bisogni della gente possono mutare di forma o contenuto a seconda del contesto, ma alla fine sono sempre quelli. E anche davanti al flagello della pandemia che stiamo vivendo, il romanzo di Corti ci addita le vie maestre della speranza e della solidarietà.
La prima copia de Il cavallo rosso venne donata a San Giovanni Paolo II durante la sua visita a Milano nel maggio 1983, mentre un’altra copia venne donata nel 2004 all’allora cardinale arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, futuro papa Francesco, che ringraziò l’ autore con un affettuoso biglietto scritto di suo pugno. Questi due episodi ci introducono ad un aspetto della personalità di Eugenio Corti di cui lui non ha mai fatto mistero: la sua profonda fede. Per l’autore è veramente la Provvidenza che guida la storia, nonostante gli errori (spesso tragici) degli uomini?
La chiave apocalittica, in senso biblico, che ho prima suggerito per comprendere appieno il messaggio de Il cavallo rosso, sfocia proprio in questa fede. Come già il Manzoni de I promessi sposi e della Storia della colonna infame, Corti affronta in prospettiva cristiana il mysterium iniquitatis, il problema del male radicato nella storia. Nemmeno lui dà risposte consolatorie: che cosa non si scatena tra il cavallo rosso e il cavallo livido! E anche nella terza campata del romanzo le cose non vanno molto meglio, perché per una tragedia che si estingue ce n’è sempre un’ altra che si affaccia. Perciò, la visione di Corti non può che ricalcare quella di Giovanni: l’unica certezza è che le forze del male, per quanto potenti e rabbiose, non prevarranno, che alla fine verranno sconfitte. La soluzione, tuttavia, come ho accennato sopra, travalica la storia, proiettata com’ è in una dimensione escatologica.
Giuseppe Langella (Loreto, 1952), è professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Presso la stessa Università dirige il Centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’ Italia unita” con l’annesso “Archivio della letteratura cattolica e degli scrittori in ricerca”.
(Francesco Righetti, 21/01/21, Famiglia Cristiana)