C’è un Solzhenitsyn in Brianza che ha venduto 400.000 copie
Escono i racconti medievali dell’autore del Cavallo rosso, ormai un classico. Mentre la critica dorme, i lettori lo adorano. A loro è dedicato il nuovo libro.
Ci sono almeno tre grandi momenti che segnano l’opera di Eugenio Corti (1921). Il primo è quello della pubblicazione de I più non ritornano (1947), il suo romanzo di grande successo sulla ritirata di Russia. E’ il momento del ricordo del conflitto e delle sue angosce terribili, che hanno segnato tutta una generazione di narratori il più noto dei quali è Mario Rigoni Stern.
Poi, per Corti, viene l’epoca del Cavallo rosso (1983), un romanzo imponente e ambizioso, chiaramente ispirato agli scrittori dell’Ottocento russo, Tolstoj in particolare. Compaiono qui la forza della famiglia, l’importanza dei legami con la propria terra e la propriacultura, magari contadina. Il Cavallo rosso, 400 mila copie vendute e tradotto in numerose lingue, ha dato a Corti fama mondiale e gli ha donato una grande schiera di lettori che a decine e decine vanno a scovarlo nella sua bella casa di Besana in Brianza.
Proprio per questi ultimi nasce la sua nuova opera, che Corti presenta quasi come una summa del proprio pensiero sulla società contemporanea e sulla fede. Quella fede che si è fatta sempre più pregnante all’interno delle sue opere (e questa potrebbe essere la terza fase della sua carriera) ed è particolarmente evidente in quest’ultimo Il Medioevo e altri racconti (Ares, pp. 192, euro 12).
Corti magnifica il Medioevo come “tempio dell’umanesimo cristiano”, periodo di strepitosa magnificenza delle arti (in particolare l’architettura e la poesia dantesca) in contrapposizione alla modernità, la quale avrebbe causato “una colossale paralisi dell’arte in Occidente”.
La prima parte del libro è interamente dedicata a questo periodo e ripercorre la storia della beata Angelina di Marsciano, di origini umbre e lontana antenata della moglie di Corti (la quale diventa il simbolo di una certa purezza di spirito e bellezza medievale). Nella seconda parte sono invece riuniti racconti sparsi scritti fra il 1968 e il 2008, tra i quali spiccano alcuni bei quadri della vita militare e dei tormenti dei soldati in Unione Sovietica (legati a quelli del popolo russo vinto dalla fame) e il visionario Apocalisse anno Duemila del 2006, ambientato a cavallo dei secoli XX e XXI.
“Questo libro è indirizzato a quanti – soprattutto studenti delle università di Milano, ma non solo – mi vengono a trovare a casa”, spiega Corti. “Mi rivolgo soprattutto a quelli che vengono sistematicamente e assieme ai quali discutiamo aspetti positivi e negativi del secolo Ventesimo, del quale essi vedono in me un testimone”
Perché ha scelto di dedicare un libro proprio al Medioevo, lei che si è sempre occupato delle grandi catastrofi del Novecento: la guerra e il totalitarismo?
Finora, nella modernità, ho scritto otto libri: sono un uomo della modernità, in particolare del Ventesimo secolo. E’ quello che sento più mio.
E’ vero, siamo nel Ventunesimo, ma ormai ho passato gli ottant’anni, questo non è più il mio tempo. Il Medioevo, tuttavia, è il periodo storico che ami di più. Occupandomi di esso ho cercato di prenderne in esami che potessero interessare la gente di questo nostro secolo. Ho aspettato molto prima di dedicarmi al Medioevo, mi sono molto documentato ho studiato e lavorato.
E qual è la sua interpretazione di questo periodo?
Quando si parla del Medioevo bisogna evitare la confusione in cui è stato avvolto. Secondo la visione dominante attualmente – quella illuminista – il Medioevo va dal 400 d.C. al 1492. Quest’arco di tempo comprende una notevole parte delle invasioni barbariche e della caduta dell’impero romano. I secoli di orrore e miserie che esse hanno prodotto vengono confusi con quelli successivi, i quali segnano invece la ripresa della cultura in Occidente, già ai tempi di quello che io chiamo il “ferrigno” Sacro romano impero (siamo nell’800 d.C. circa). Già in quel momento sgorga una linfa nuova.
Di seguito, vengono i secoli migliori. Credo che nel grande quadro della storia, gli anni che vanno dal 1000 al 1300 circa siano paragonabili soltanto al periodo della Grecia di Pericle. In entrambi i momenti credo si sia raggiunto il maggior grado di perfezione umana.
Ad esempio?
C’è una serie di elementi che lo testimoniano. Per esempio le straordinarie opere architettoniche, romaniche e gotiche. Sono gli edifci più perfetti. E poi tutto il resto della cultura: la filosofia “perenne” di San Tommaso d’Aquino e il poema di Dante. Proprio l’Alighieri credo sia la figura più luminosa di tutto il periodo.
Che cosa, secondo lei differenzia il Medioevo dalla modernità e lo rende, in qualche modo, migliore?
Nel Medioevo dominava una visione teocentrica della realtà, la quale è stata ben presto sostituita da una visione antropocentrica. Già nel Rinascimento se ne videro i segni, anche se la concezione del mondo rinascimentale non era anti cristiana, anti Dio.
La centralità dell’uomo e l’attenzione per Dio potevano convivere. Poi è arrivata la filosofia illuminista, le cui conseguenze possiamo vedere ancora oggi.
Da lì si è arrivati a proclamare la morte di Dio e quest’idea ha permeato tutto l’Occidente. Il fatto di identificare il Medioevo con la barbarie è stato anche una forma di autodifesa dell’illuminismo, che non ha potuto spiegare le barbarie prodotte da se stesso. Nel ‘900 abbiamo visto i frutti di questa concezione: i milioni di vittime del nazismo e del comunismo.
Lei è stato tenacemente anticomunista, e ha pagato di tasca sua trovando grandi difficoltà a pubblicare. In più ha vissuto gli orrori della campagna di Russia.
(Francesco Borgonovo, 17/12/2008, Libero)