L’amico che scriveva lettere bellissime
Nell’archivio di Casa Corti a Besana in Brianza sono conservati numerosi faldoni che raccolgono la fitta corrispondenza tra Eugenio e i suoi tanti lettori. In chiusura del quaderno cortiano, presentiamo il ricordo della prof.ssa Maria Gaspari, che dopo aver scoperto l’epopea del Cavallo rosso, iniziò un intenso carteggio con Corti, da cui scaturì, tra l’altro, il progetto di una riduzione scolastica della Storia di Manno. E’ una delle tante testimonianze giunte in redazione dopo la notizia della morte di Eugenio, lo scorso 4 febbraio.
Colpita dall’improvvisa scomparsa di Eugenio Corti (l’ho appresa dalla newsletter che mi arriva dalle Edizioni Ares), non sono ancora riuscita a staccarmi dall’evento. Ascolto grazie alla mail ricevuta la voce di Corti che legge «la morte del capitano Grandi», ascolto l’intervista, leggo i giornali, prendo in mano qualcuno dei suoi libri, ma non riesco a pensare ad altro. Vado a prendere la cartelletta dove ho tenuto raccolte le sue lettere. Sono qualcosa di vivo e di reale: quei fogli sono stati scritti da lui, con quella grafia in un corsivo grande, deciso, che non disdegna di fare correzioni se si tratta di produrre un periodo più lineare, con le parentesi tonde o quadre, con la punteggiatura necessaria a esprimere un pensiero sempre cristallino e puntuale. Passo da una lettera all’altra, ho conservato anche la copia di qualche lettera che gli ho scritto. Ma mi confondo, non riesco a ricostruire l’ordine esatto, anche se i riferimenti sono così precisi che non permettono di sbagliare.
Che cosa farò di queste lettere? Ormai non servono più. Non le ha conosciute nessuno, se non Eugenio Corti. Devo eliminarle così? E apro il Pc, sul quale avevo da poco scritto una lettera di ringraziamento alle «Carissime Edizioni Ares» (ho scritto proprio così); la rileggo; vedo dei chiari errori di stampa dovuti all’aver scritto d’impulso quelle righe. Mi pento di averlo fatto, ma ormai… E apro una pagina nuova che titolo «La mia amicizia con Eugenio Corti». Avevo parlato con lui poche settimane prima, al telefono mi aveva passato sua moglie che mi spiegò la situazione. Scrivo allora, adesso, una lettera a lei che avevo conosciuto quando lo aveva accompagnato per un Premio a Bassano del Grappa e io le avevo chiesto se era lei la «statuina di marmo»… Prometto a Vanda ciò che solo si può fare quando non si può consolare in altro modo: pregherò per lui e per lei.
Ricordo la gioia di quando ricevetti in regalo per Natale Il Cavallo rosso. Sapevo qualcosa del romanzo, ma non riuscivo neppure a immaginare che cosa avrebbe rappresentato per me. Lo lessi in due mesi e la prima cosa che mi venne in mente fu di scrivere all’autore. Non avevo mai letto un libro così avvincente, così luminoso sulle pagine della nostra storia europea e italiana. «Che coraggio – pensavo – ha avuto l’autore nel parlare così apertamente contro il comunismo!». Non sapevo del libro I più non ritornano, né della tragedia Processo e morte di Stalin, che, dopo la prima lontana presentazione a Roma con la Compagnia di Diego Fabbri, è tornata in scena di recente per due serate in un teatro di Monza colmo di pubblico e con molti giovani. Ma non pensavo solo a questo: come era spuntato così improvvisamente (per me) uno scrittore di cui nulla conoscevo e che sapeva scrivere così bene? Che sapeva dire così tanto sulla verità, la bontà, la bellezza?
«Pezzetti di verità» & «Verità suprema»
Del Cavallo rosso non sono mai riuscita a stendere una recensione, come faccio sempre per tutti i libri che leggo. Ne ero troppo entusiasta, ero come fuori di me. Scrissi così a Corti la mia prima lettera il 24 dicembre ’85. Due settimane dopo ricevetti la risposta. «La sua lettera», diceva, «mi ha fatto e fa un gran bene. Un autore può fare benissimo a meno [e, anzi, è tenuto, deve fare a meno, ricordando quella frase del Vangelo: “Guai a voi quando tutti diranno bene di voi”] dell’approvazione di chi sta dietro – come lei bene elenca – i premi letterari, le mode, i successi. Non può però, un autore, fare a meno dell’approvazione del suo lettore: intendo almeno di qualche lettore disinteressato e profondo, che gli faccia sentire di essere nel giusto; e di non essere affatto solo. Sotto questo aspetto la sua lettera ha per me un valore incomparabile. La ringrazio per le quattro belle poesie, che fermano così bene alcuni momenti particolarmente intensi della sua lettura; e mi danno tra l’altro un’idea della sua continua ricerca della verità, dei “pezzetti di verità” che sono nelle cose e nel mondo, dove costituiscono i riflessi della “Verità suprema”. Anche di questa conferma la ringrazio. E del forte incitamento a operare, a non sprecare il tempo, che dalla sua lettera mi viene».
Nelle mia seconda lettera gli chiedevo come fare per portare la sua prosa nella scuola media, dove allora insegnavo. E rispose: «E’ stata la prima indicazione di quello che potrebbe essere l’esito della Storia di Manno nell’ambito scolastico. [Una seconda indicazione mi è giunta una settimana dopo]. Mi chiedo spesso in questi giorni di attesa dei risultati, se veramente la Provvidenza vorrà utilizzare quell’opera come suo strumento nel mondo giovanile…».
Intanto, avevo invitato Eugenio Corti a venire a Napoli per presentare Il Cavallo rosso. La sede scelta fu Castel dell’Ovo e non poteva esserci luogo più bello in quella indimenticabile giornata di sole. Ho conosciuto così per la prima volta Eugenio Corti di persona. Ci furono vari interventi nel corso dell’incontro nel teatro. Io gli chiesi se per lui era più importante il messaggio o i messaggi che con il suo libro voleva trasmettere o raccontare la storia dei suoi personaggi. Inutile riassumere la risposta quando io stessa sapevo che i due elementi erano così intrinsecamente uniti nelle sue opere che non si potevano scindere mai. Inoltre, arrivammo a un’altra interessante conclusione: che dai romanzi storici si può conoscere meglio «la storia» che non dai manuali stessi di storia (specie dai libri di scuola quando così spesso non dicono in molte pagine la verità). Nell’aprile dell’86 ricevetti la notizia telefonica dalla casa editrice Mursia della pubblicazione della Storia di Manno e dopo pochi giorni me ne arrivò una copia in omaggio. Lessi il libro di filato, in un sol giorno. Ricordo che era domenica. A scuola ne acquistammo 15 copie. Mancavano ancora due mesi dagli esami di terza media e perciò tutta la classe avrebbe fatto in tempo a leggerlo.
Nel giugno dell’‘86 mi trasferisco a Verona perché pochi mesi prima era morto mio padre. Qui ho potuto ascoltare Corti molte volte, al Circolo Medi e in altri teatri. Ma non cessò la nostra corrispondenza. Venivano ad ascoltarlo quasi intere classi del Liceo dove insegnavo. Una sera non potei andare e ricevetti da Corti la notizia di una lettera giuntagli da una mia alunna, Cristina, cui avevo consigliato, insieme ad altre, di partecipare all’incontro. Da Cristina Corti aveva saputo che stavamo leggendo in classe la Storia di Manno e che in estate avrebbero potuto leggere Il Cavallo rosso. E mi scrisse: «La sua benefica, tenace battaglia – per la quale io la ricordo spesso – continua dunque in pieno. Non poteva essere che così, ma questa conferma attraverso la sua alunna, mi commuove».
In seguito gli mandai una copia del mio primo libro: una raccolta di poesie in prosa che trattano della Famiglia di Nazaret. Corti le commenta così: «Ho letto, con attenzione e con incessante godimento spirituale, il suo volumetto. Non definirei le sue pagine propriamente poesia, neppure prosa però: è una narrazione poetica lieve, traboccante di fede, fondata in ogni riga sulla storia e sulla tradizione, che ha la virtù di trasmettere al lettore, con semplicità e singolare freschezza, una importantissima parte del Vangelo [quella che viene dai ricordi della Madonna: quelli che “Miriam conservava nel suo cuore e – come lei dice – meditava nel silenzio dell’anima”]».
Mentre scartabello le varie lettere sul tavolo, mettendole in ordine di data, mi meraviglio di averne ricevute così tante. E così lunghe. E scritte a mano. Io rispondevo con la macchina per scrivere fino a quando nel ’93 ho potuto usare il Pc. Ma sempre dovevo imbucare le lettere per Besana. Poco tempo dopo gli ho mandato il diario di guerra di mio padre, stampato da Della Scala, a Verona, quasi a mia insaputa (anno 2003). Corti ne fu entusiasta e si fermò a considerare la differenza abissale che c’è stata tra la prima guerra mondiale e la seconda. Mio padre era partito a 17 anni, era uno dei «ragazzi del 99». E aveva scritto quattro quaderni con tanto di penna e inchiostro racchiuso in un porta-inchiostro di legno che estraeva quando era al fronte, anche nei piccoli intervalli tra i bombardamenti.
Un dialogo che non si interrompe
Nel 2003 Corti mi scrive deliberatamente «Cara Maria» (anziché Gentile Prof. Gaspari) perché ero entrata di forza, secondo lui, nella categoria degli autori e quindi ero sua collega. Gli avevo mandato infatti il mio primo romanzo Nerina, la quale (è il nome della protagonista) presta il Cavallo rosso a un suo compagno di università e ne celebra le lodi. Corti mi scrive ringraziandomi di averlo trattato così bene e aggiunge: «Il trovarmi come personaggio in un tuo libro, con tanto di nome e cognome, da principio mi ha sorpreso, poi gradevolmente interessato, infine determinato a leggere tutto da capo a fondo prima di scriverti». E commenta: «Il tuo libro mi è piaciuto perché tiene legata l’attenzione del lettore, perché rende al vivo la realtà del mondo veneto, così amabile (lo rende ancora più caro a un lettore come me che l’ha già cara) e perché fa del bene, perché è distributore di bene. Stiamo combattendo la stessa battaglia, cara Maria e avvertire che si hanno compagni d’armi in un momento così difficile è cosa che dà conforto».
Non riesco a credere che aspetti con ansia le mie lettere e che tenga l’ultima sul tavolo, quasi a fargli compagnia, finché non ha trovato il tempo per rispondere con la debita calma. «Credevo», dice, «che con il passare degli anni, mi sarei trovato del tempo a disposizione per coltivare in modo degno le amicizie: ora so che mi ingannavo». A volte estraeva dalle mie lettere qualche frase, come quando devo avergli scritto, a proposito del suo capolavoro, che «ci troviamo di fronte a un libro di commento alla storia universale», aggiunse: «Mi piacerebbe metterlo in copertina al Catone. Davvero» – Ogni tanto, nel bel mezzo del racconto, inseriva una frase lapidaria: «La guerra serve soltanto ad aggravare i problemi: punto e basta».
Ormai non rispondeva più solo alle mie domande, ma mi faceva partecipe dei suoi programmi. «Ho appena licenziato un breve saggio su “La Democrazia Cristiana, con particolare riguardo ai suoi errori” – e ora sto lavorando su un altro intitolato “Scienza e fede”, dopo un’uscita di Gianni Vattimo (quello del pensiero debole), il quale asserisce che la filosofia moderna (da intendersi marxista) non ce l’ha fatta a dimostrare la morte di Dio preconizzata da Nietzsche, ma che però a questo provvede in modo convincente la scienza moderna. Ciò mentre la scienza più progredita ormai non fa altro che narrare la gloria di Dio. Ho dovuto sorbire, per potermi esprimere sempre a proposito, ben quattro volumi di cosmologia…». Concludeva mandandomi gli auguri per il Natale del Signore, che immaginava che avrei passato nella «gentil» Verona.
L’ultima sua lettera porta la data del 5 agosto 2007. Non ricordo perché si sia interrotta la corrispondenza. Non gli ho mandato i miei due ultimi romanzi, solo perché non ci ho più pensato. O ero presa da altre incombenze. Mi è rimasto però il tempo per leggere, per leggere di più. E continuo a scrivere le recensioni dei libri. Il computer in questo senso mi è di grande aiuto perché posso conservare tutto con facilità. Invece le lettere di Corti restano ancora lì sulla carta, poggiate sul tavolo. Ho scritto queste pagine per recuperarne almeno in parte il contenuto, per non tenerlo solo per me, per far conoscere ad altri la bontà, l’umiltà di un grande scrittore, che non disdegna di scrivere a me che non sono nessuno.
Sono andata a imbucare la lettera per la moglie Vanda. Leggo gli articoli sul suo funerale. E adesso ho in mano il libro di Paola Scaglione che mi aiuta a scoprire cose che avevo dimenticato della vita del grande uomo che Corti è stato. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, di leggere le sue opere. Ora, pensandolo in Paradiso, lo prego qualche volta anche se è solo un dialogo di andata; ma so che in qualche modo lui mi ascolta. Non so ancora quanto devo ringraziare per quello che mi è stato dato.
(Maria Gaspari, agosto 2014, Studi Cattolici)