Il cavallo rosso nel paese del Sol Levante
In questo memoir, il prof. Peter Milward, docente emerito presso la Sophia University di Tokyo, ricorda l’emozione suscitata dall’incontro con Il Cavallo rosso e l’iter che portò alla sua pubblicazione in giapponese. Peter Milward è il primo ad aver affrontato in modo sistematico la questione della «cattolicità» del canone shakesperiano. Tra le sue opere: Shakespeare the Papist (Ave Maria University Communications, 2005), Shakespeare’s Apocalypse (Saint Austin, 2000), Catholicism of Shakespeare’s Plays (Saint Austin, 1997). In Italia, i suoi studi sono stati ripresi e approfonditi da Elisabetta Sala, autrice di L’enigma di Shakespeare. Cortigiano o dissidente? (Ares, Milano 2011, pp. 472, euro 24).
Sono passati più di dieci anni da quando venni presentato al grande romanziere italiano dal nipote, Benedetto Riva. A quel tempo non conoscevo nessuno dei due e nessuno dei due conosceva me. Fu durante un suo viaggio nelle Filippine che qualcuno parlò di me a Benedetto come di uno che aveva contatti con diverse case editrici giapponesi, giacché egli era alla ricerca di un editore per la traduzione giapponese (di Kyoko Masuyama) del grande romanzo Il Cavallo rosso. Ci incontrammo dunque nell’ufficio del mio Renaissance Centre (spelling inglese, mi raccomando!) alla Sophia University, di Tokio. Naturalmente, quando seppi del progetto, fui felicissimo di poter essere d’aiuto. Altrettanto naturalmente, però, prima di poter fornire qualsiasi aiuto pratico, compresa la motivazione dietro la promozione del libro, ero consapevole che avrei dovuto innanzitutto leggerlo. Purtroppo, la mia conoscenza dell’italiano è limitata alla Divina commedia con testo inglese a fronte. Devo confessare anche che la mia capacità di leggere la traduzione del romanzo in giapponese non va molto più in là. Per fortuna, tuttavia, mi diedero una traduzione inglese, pubblicata da Ignatius Press nel 2002. Fu dunque quello il mio compito preliminare.
Non conoscendo l’originale italiano, e non potendo dunque fare un confronto, non sono in grado di giudicare la qualità della traduzione inglese, che però era molto scorrevole, quasi come se il romanzo fosse stato scritto direttamente in quella lingua: fu così che mi ritrovai avvinto dalla lettura, sebbene il libro fosse diviso in tre parti per un totale di più di mille pagine. Mi accorgevo anzi, a mano a mano che procedevo di pagina in pagina e di capitolo in capitolo, che più leggevo, meglio era. Mi accorsi presto che non era un semplice romanzo di centinaia di pagine ma un racconto epico, paragonabile (si diceva già) a Guerra e pace, soprattutto perché incentrato sul ruolo giocato dall’Italia, a fianco della Germania e contro la Russia, durante la Seconda guerra mondiale, oltre che sulle successive ripercussioni politiche italiane.
Controparte italiana di Shakespeare?
Proprio nel periodo in cui stavo affrontando la lettura, William Shakespeare fu votato uomo del millennio, e l’Ulisse di James Joyce il romanzo del secolo, da una maggioranza di lettori che sapevano molto poco di Shakespeare e ancor meno dell’Ulisse. Ma Il Cavallo rosso, pensai, era un romanzo epico, drammatico, che poteva benissimo reggere il paragone con le opere shakespeariane, per tacer del mondo bizzarro di Joyce. Dopotutto era a partire dai drammi shakespeariani, ai quali avevo dedicato gli ultimi cinquant’anni della mia vita, che ora mi accostavo al Cavallo rosso; dire che Eugenio Corti fosse la controparte italiana di Shakespeare non era un’esagerazione. Ho sempre dato una lettura di insieme all’opera shakespeariana, dalle commedie elisabettiane, attraverso le tragedie giacobite fino alle tragicommedie finali, così che esse vanno a formare un unico racconto epico dell’Inghilterra rinascimentale, con una speciale sottolineatura delle tribolazioni dei «ricusanti» cattolici. Ho trovato quello stesso tono epico nel Cavallo rosso, con la sua enfasi sulla presenza cattolica italiana sia in guerra sia nel dopoguerra.
Con quella motivazione in mente, mi misi alla ricerca di un editore giapponese, che sarebbe dovuto necessariamente essere cattolico, dato che gli editori giapponesi non cattolici evitano scrupolosamente tutto ciò che sa di cattolicesimo. Diversi editori italiani, tra cui persino un sacerdote, avevano cortesemente rifiutato un’impresa così formidabile, dichiarando che i giapponesi non erano interessati a quegli episodi sul fronte russo che non vedevano coinvolto neppure un giapponese.
Trovai infine un editore cattolico, il signor Seiji Kishimura delle edizioni Nansosha, già legato alla Sophia University. Eppure persino lui richiese un contributo economico considerevole prima di uscire con il primo volume, e con una tiratura di sole mille copie. Quando il libro infine uscì, nel febbraio del 2004, era molto bello, con una copertina in stile giapponese raffigurante un cavallo rosso su nuvole bianche e un cielo azzurro, era di quasi quattrocento pagine. Per fare pubblicità al libro, l’editore inviò copie saggio a numerose biblioteche pubbliche in tutto il Giappone, sperando di guadagnare consensi. Ma, ahimè, così non fu, sebbene anch’io avessi fatto del mio meglio per lanciarlo scrivendo una recensione favorevole sulla nostra rivista universitaria, Sophia.
Nonostante tutto ciò, giocò comunque a favore del romanzo il fatto che non fosse soltanto un best-seller italiano, ma che fosse stato tradotto in molte altre lingue, compreso il giapponese; fui dunque felice di aver fatto da tramite per la pubblicazione.
A quel tempo non avevo ancora fatto conoscenza con l’autore. Finché un’estate, mentre mi trovavo in Inghilterra, riuscii a prendere un aereo per Milano, dove fui accolto da Benedetto Riva, che mi portò a casa di Eugenio Corti, a Besana in Brianza, così che da quel momento in poi quei due luoghi, Besana e la Brianza, vennero per me ad assumere un significato speciale, non ultimo perché li avevo già incontrati nel libro. Dopotutto, non era soltanto un romanzo epico o drammatico, ma anche autobiografico, poiché l’autore vi narra la sua ricca esperienza in uno stile il più possibile oggettivo; e anche questo mi portò a collegare il suo nome a quello di Shakespeare.
Giacché, sebbene sia opinione comune tra gli studiosi (che non sanno quel che dicono) che il famoso drammaturgo si nasconda dietro a tutti i suoi personaggi senza mai rivelare sé stesso, io credo invece che Shakespeare sia invece il più autobiografico dei drammaturghi, se solo si riesce a leggere tra le righe delle sue opere. Egli è presente in tutti i suoi personaggi, non solo negli eroi, ma anche nelle eroine e persino nei personaggi malvagi. In ogni modo, in occasione del nostro incontro ricordo che andammo insieme a fare una gita sul lago di Como, uno dei laghi più panoramici, se non il più panoramico, d’Italia. Non ci accontentammo di girarci intorno in macchina, ma prendemmo anche il battello. E lì commisi un errore: non mi ero reso conto di quanto il sole battesse, e di come battesse ancor più forte riflesso sull’acqua: così mi presi una lieve insolazione; purtroppo, è tutto ciò che ricordo della nostra gita.
Ma Shakespeare resta enigmatico
Un’altra occasione di incontro venne diversi anni dopo, quando molti ormai sostenevano che Eugenio fosse il miglior candidato italiano al Nobel per la letteratura. Fui invitato a partecipare, in quanto residente in Giappone, a un convegno nei pressi della casa di Benedetto, a Monza, in cui parlai della sua importanza, paragonandola a quella di Shakespeare. Inutile dire che ero profondamente convinto che Eugenio Corti avesse tutti i numeri per meritarsi quell’onore; al tempo stesso, però, nutrivo seri dubbi che glielo potessero davvero conferire. Perché? Perché il romanzo era troppo apertamente cattolico, il che non faceva che renderlo ancor più attraente ai miei occhi, ma avrebbe quasi certamente raffreddato i membri della giuria. Infatti andò così.
Devo dire che in questo Il Cavallo rosso si differenzia dall’opera shakespeariana, la quale, nonostante la grande profondità nel trattare la «ricusanza» cattolica, è ben lontana dall’essere apertamente cattolica in sé. La caratteristica principale dei drammi di Shakespeare è la loro enigmaticità, come dice il giovane Lucio del Duca Vincentio in Misura per misura: «Quello che dà a credere è a una distanza infinita dai suoi veri progetti». Lo stesso dice Amleto ai suoi due falsi amici, incaricati di spiarlo: «Vorreste strapparmi il cuore del mio mistero». E spesso si ritiene che entrambi i personaggi, Vincentio e Amleto, possano in qualche modo rappresentare il drammaturgo.
L’ultimo incontro & poi la notizia
È logico, tuttavia, che nell’età elisabettiana il cattolicesimo di Shakespeare non potesse circolare liberamente, proprio come il personaggio di Edgar, nel Re Lear, altrimenti avrebbe rischiato di essere notato dall’«informatore pagato» nascosto tra il pubblico e da lui sfidato nel sonetto CXXV. Né Eugenio Corti, né il sottoscritto, naturalmente, devono temere quel tipo di spie; i loro discendenti sono però da ricercare, al giorno d’oggi, in chi assegna i premi Nobel e, in generale, nel mondo accademico.
Fu dopo quel convegno che fui invitato dal gentile autore e da suo nipote a cenare insieme a casa sua, a Besana. C’erano anche le loro mogli e fu una cena sopraffina; peccato che io abbia dimenticato il sapore di quel cibo e riesca a ricordarne soltanto l’atmosfera, che posso descrivere solo in termini di convivialità cattolica. Dopodiché, dovetti tornare a Monza con Benedetto, a casa sua, e da lì in Inghilterra.
Ci fu un’ultima occasione per incontrare il grande romanziere, questa volta non a Besana e nemmeno a Monza, bensì a Milano. Mi trovavo lì mentre ero in pellegrinaggio in Italia e prenotammo una cena in un ristorante non lontano dal nostro albergo. Purtroppo, però, non ricordo esattamente la data. Tutto quel che ricordo è che fui accompagnato al ristorante dal mio bravo segretario, Momoe, che si premurò di indossare un kimono giapponese per l’occasione.
Fu quella l’ultima volta che vidi sia Eugenio Corti sia Benedetto, fino al giorno in cui ricevetti la notizia della sua morte, il 4 febbraio 2014, alla bella età di novantatre anni. Nel Latino liturgico preghiamo: Requiescat in pace; persino qui da noi, nel Giappone non cristiano, si dice «È tornato in cielo». E, come dice Shakespeare nel Mercante di Venezia, God rest his soul!
(Peter Milward tradotto da Elisabetta Sala, agosto 2014, Studi Cattolici)