La Brianza tra arte e responsabilità
Incontriamo Eugenio Corti per guardare le difficoltà del nostro tempo attraverso i suoi vivi occhi azzurri, dai quali traspare la sua sensibilità di scrittore e di uomo che ha attraversato con fede e speranza le vicende più drammatiche del ‘900.
Agli occhi di chi ha vissuto già diverse crisi – anche ben più drammatiche di quella attuale, II Guerra Mondiale in primis – come si può costruire un percorso per uscirne? Su cosa occorre puntare l’attenzione?
La differenza fondamentale tra questa crisi e quella della II Guerra Mondiale è la dimensione, nonché la profondità umana del fenomeno: oggi la situazione non è sicuramente epocale come quella del secondo conflitto mondiale. Comunque, quello che ci può portare fuori dall’attuale frangente è, per quanto possibile, un ritorno alla moralità: intendo anche nell’ordine economico. Negli ultimi decenni, infatti, c’è stato un progressivo affievolimento dell’impostazione morale in tutti i campi, e quindi anche nell’ordine economico, un ambito che non è a se stante, staccato dal resto della realtà. Per questo il recupero va operato in tutta la società, seguendo l’indirizzo col quale è stata ricostruita l’Europa subito dopo il 1945: il punto di ripartenza dopo quegli eventi tragici fu secondo i principali artefici dell’Europa – Schuman, Adenauer e De Gasperi – il messaggio evangelico, che risaltava nelle azioni e nelle parole di tutti loro, in particolare in quelle di Adenauer, che concludeva i suoi interventi in campo economico affermando: “Del resto, anche in questo ambito solo Cristo ci può salvare”.
Il recupero, dunque, deve avvenire innanzitutto attraverso una ripresa morale ed etica nella società e nell’economia, anche perché il costo e le conseguenze dell’allontanamento da questi insegnamenti è oggi sotto gli occhi di tutti, nell’empasse sociale, economica ed istituzionale dell’attuale Unione Europea.
La Brianza nella quale vive oggi, cos’ha ancora di quella nella quale è nato ed è cresciuto e che racconta così bene nei suoi libri?
In Brianza si sono gradualmente affievolite le fondamentali radici culturali che permeavano la mente di tutto il popolo. Questa perdita è stata causata, a mio giudizio, anzitutto dalla televisione, che la gente del popolo ha iniziato a seguire e che poco a poco è andata e modificarne profondamente la mentalità; in secondo luogo dalla scuola, che prima arrivava in Brianza solo alle elementari e invece poi si è sviluppata con le medie e le superiori, nelle quali hanno fatto pesare la loro influenza negativa tanti professori usciti dal ’68. Da ultima si è aggiunta l’azione negativa di internet.
Ancora oggi, si può dire che la realtà spirituale della Brianza rimanga la stessa, ma a me pare di vederla come se stesse sott’acqua, sul fondo dei laghetti di cui la Brianza è piena. Le chiese la domenica sono colme come una volta; poi, però, l’esercizio delle virtù morali non è più lo stesso, come testimonia per esempio il numero dei figli delle famiglie briantee, che una volta erano le più numerose d’Italia (anche più di quelle delle regioni meridionali) e oggi invece non riescono più a mantenere l’equilibrio demografico sul territorio. È un mondo, dunque, che lentamente sta scomparendo.
Cos’è che secondo lei – da brianzolo, o se preferisce brianteo, e da figlio di imprenditori – ha reso e rende tutt’ora così produttiva e ricca la Brianza?
C’è una tendenza naturale all’imprenditoria, a costruire piccole imprese, che in Brianza è sempre esistita. I briantei sono milanesi – ne hanno il dialetto e la forma mentis – ma vivono in un territorio più povero di quello degli altri milanesi e degli abitanti della Bassa, a causa principalmente delle difficoltà nella coltivazione delle colline. Hanno cercato di far fronte con l’attività artigiana, fondata su un’inclinazione all’arte più presente qui che ne resto della milanesità. Questa attitudine artistica latente è riemersa quando, all’indomani del secondo conflitto mondiale, c’è stata una fortissima richiesta di mobili trainata dallo sviluppo economico post bellico. In quel periodo da noi molti si sono trasformati da contadini in mobilieri, realizzando microimprese che – avvalendosi di una eccezionale capacità di imitazione creativa – nel giro di pochi anni hanno raggiunto dei livelli veramente elevati.
C’è una vocazione ad essere imprenditori?
C’è sempre stata in noi la preoccupazione di dare ai nostri figli di che vivere sviluppando sempre nuove imprese.
Mio padre era figlio di un fornaio povero, eppure – avendo il bernoccolo per l’industria e partendo dall’essere garzone di bottega e poi impiegato – ha costruito un’impresa con tre fabbriche ed oltre 1.200 dipendenti. Con tutto ciò la sua preoccupazione principale era quella di trovare lavoro a tutti quelli che ne avevano bisogno, e che spesso venivano a chiedergli lavoro direttamente a casa. Altre persone come mio padre, nate operaie, si sono fatte strada in Brianza, per esempio Vincenzo Vismara, amico di mio padre, che ha costruito il più grande salumificio del Paese.
Certo accadeva anche che quando un’impresa iniziava a diventare grande alcuni dei migliori uscivano e fondavano una nuova azienda. Questa tendenza all’imprenditorialità c’è ancora ma è dettata dalla capacità di fare business più che da un desiderio di sviluppo per sé e per la comunità nella quale si opera. L’imprenditorialità c’è tuttora nell’animo della gente briantea, ma è calata molto la responsabilità nei confronti della società, del territorio in cui si opera e verso le persone cui si dà lavoro.
Non è questa preoccupazione forse la vera forma – concreta, tangibile – di quella che oggi viene chiamata “responsabilità sociale d’impresa”?
La radice cristiana e l’attenzione al “prossimo”, sono alla base di questa responsabilità verso gli altri, tutti gli altri.
Mio padre allargava sempre più le proprie fabbriche per dare lavoro e non semplicemente per fare profitto, così Vincenzo Vismara: erano imprenditori, ma erano soprattutto uomini veri e gagliardi, facevano da esempio a tutti in un mondo nel quale tutti si conoscevano ed i bisogni di ciascuno erano condivisi e presenti ad ognuno.
(a cura di Daniele Moscato, giugno 2009, Vicini di Banca)