Ciao Eugenio, la stampa ti ricorda così
La notizia della morte di Eugenio Corti è stata subito rilanciata dalle principali agenzie d’informazione, ma anche (e in modo capillare) dai social network dei fedelissimi lettori.
Sébastien Lapaque, critico letterario di Le Figaro, ha scritto: “E’ uno dei sommi scrittori di oggi, uno dei più grandi, forse il più grande. Non avete letto Il cavallo rosso? Non conoscete il suo autore? Questo testimone della grande catastrofe del XX secolo lascia dietro di sé un’opera misconosciuta. Che importa? Con gli occhi puntati sulla lista dei bestseller, giovani presuntuosi attribuiscono importanza solo agli autori riconosciuti dalla pubblicità. Lasciamoli fare, aspettano i premi letterari, avranno premi letterari. A ogni cane la sua zuppa”. (7 febbraio)
Il “Caso Corti” farà parlare a lungo, così come la storia corale del Cavallo Rosso, di cui ha colto il cuore Ermanno Paccagnini sul Corriere della Sera (“Addio a Eugenio Corti, reduce dalla Russia e testimone cristiano”, 6 febbraio); dopo averne compendiato la trama, ha così sottolineato la poliedricità dell’opera:
“Un romanzo di affetti e azioni, idee e passioni, al tempo stesso storico, epico, tragico, ideologico, polemico, antropologico. Un romanzo di sentimenti forti e profondi dettato dal suo voler essere romanzo di testimonialità cristiana. E romanzo d’accusa contro lo spirito di compromesso che fa abbassare la guardia al cristiano, rendendosi inconsciamente disponibile al suo fagocitamento da parte di quel Male che ha sì il barbaro volto storico del nazismo e del comunismo, ma anche quello intellettualmente ambiguo del laicismo, primo passo verso la scristianizzazione della società”.
Sempre il Cosera, nella versione on line del 5 febbraio, ha riproposto la lunga intervista rilasciata a Rosella Redaelli da Corti per i suoi novant’anni: in quell’occasione, il nostro autore era ritornato sul tema (a cui sempre era stato legato) della formazione dei giovani: “Consiglio ai giovani di non perdere lo spirito critico, di non fermarsi ai discorsi superficiali, ma di andare a fondo alla conoscenza della realtà. Un tempo gli insegnamenti che ricevevi in famiglia erano un faro per la vita, adesso il rischio è che gli insegnamenti arrivino dalla televisione perché la famiglia si è sfasciata”.
E chissà con che sorriso Eugenio avrà accolto l’articolo di Giuseppe Leonelli apparso su Repubblica (“Addio a Eugenio Corti tra cattolicesimo e romanzo epico”, 6 febbraio), una testata che per troppi anni ha esiliato il suo nome dal Pantheon dei grandi narratori. Nel (bel) pezzo “riparatore” si dà comunque un saggio consiglio: “Il giusto omaggio a lui e il modo migliore di celebrare la sua morte è quello di rileggere, o leggere con serenità Il cavallo rosso, non di farne oggetto, con giudizi e silenzi spropositati, di atteggiamenti sostanzialmente ideologici”.
Per Claudio Gallo della Stampa invece (“Eugenio Corti, l’epopea della Brianza cattolica”, 6 febbraio): “L’etichetta di scrittore cattolico è un vestito stretto per Eugenio Corti. Non perché non lo fosse, ma il suo romanzo dal respiro lungo, ancora quasi ottocentesco, è una narrazione corale che appartiene all’umanità prima di ogni altra cosa”.
Luca Doninelli era un grande ammiratore di Corti, aveva contribuito a riportare in scena la tragedia Processo e morte di Stalin e la scorsa estate aveva firmato l’invito alla lettura della nuova edizione Ares di I più non ritornano. “La Letteratura non potrà fare a meno di Eugenio Corti”, così inizia il suo articolo, splendido e riconoscente, che prosegue: “Si può forse parlare del romanzo italiano del ‘900 senza parlare de Il cavallo rosso, l’opera che costituisce il cuore di tutta l’opera di Eugenio Corti, il capolavoro coltissimo e insieme popolare che ha venduto negli anni mezzo milione di copie? Potremo limitarci a Moravia, Calvino, Baricco?
Il cavallo rosso è, insieme con Vita e destino di Grossman, la grande testimonianza di un secolo d’orrore attraversato nel nome di una speranza di riscossa umana. Se è vero quello che disse Saul Bello, e cioè che noi siamo tutti dei sopravvissuti, niente più del Cavallo rosso ci testimonia questa tenacia, questa irriducibilità”.
E ancora: “Corti non ha cercato un’interpretazione della storia secondo i Valori Cristiani: Corti ha attraversato l’Europa a piedi nella spaventosa ritirata di Russia, vedendo morire a migliaia i suoi amici, e una volta tornato non se l’è sentita di glorificare la lotta partigiana, non perché la disprezzasse, ma perché il cuore dell’esperienza italiana era altro. Corti ha cercato di raccontare a sé stesso come fosse stato possibile un simile orrore. E così ha fatto la sua comparsa Dio, non come spiegazione, ma come un personaggio della storia; non per mettere le cose a posto ma per rendere raccontabile una tragedia per la quale rischiavamo di non esserci più né parole né memoria (“Corti, grande emarginato che narrò l’epopea del secolo degli orrori”, Il Giornale, 6 febbraio).
Sulla stessa testata, Alessandro Gnocchi, mentre auspicava servizi più ampi sul Corriere, Repubblica e La Stampa, rimarcava come Corti fosse agli antipodi della scrittura glamour nostra caratterizzata da “minimalismo, spruzzata di militanza politica senza esagerare, nichilismo di maniera alternato a stucchevole sentimentalismo”. Aggiungendo: “Per lo Scrittore d’Attualità, tutto va ridotto allo spirito di anni senza ambizioni letterarie: il numero delle pagine, la portata dei temi trattati, la qualità dello stile. Viste le premesse, Corti fu dichiarato quasi subito antimoderno”. (Corti emarginato in vita e in morte, Il Giornale, 7 febbraio).
Incisivo come Masaccio
Prendendo spunto dall’assegnazione del Premio internazionale di cultura cattolica (2000), Claudio Toscani ha ripercorso l’itinerario spirituale e intellettuale di Eugenio Corti per concludere: “Con la padronanza strutturale e tematica che si direbbe di un Tolstoj e, per converso, la rupestre incisività di Masaccio, Eugenio Corti sarà sempre presente per il complesso della sua intensa dedizione alla scrittura, per il suo specchiato umanesimo, per la sua fede religiosa. Testimone di una “cattedrale” di libri, la sua personalità si afferma nel panorama assai evasivo della produzione corrente, dei tanti sterili esperimenti dell’editoria di oggi” (“Incisivo come Masaccio, Osservatore Romano, 7 febbraio).
Anche Carlo Careno sul Sole 24ore ha riflettuto sull’arco di tutta la produzione cortiana. Ecco il suo parere sulla ricognizione storica di Catone l’antico: “Il suo occhio – ma non la prospettiva – si sposta a cercare nel passato i costanti motivi della sua etica e del suo dispetto per l’imbarbarimento della civiltà che perde i suoi princìpi sani, le sue ispirazioni religiose, le sue norme morali».
Per Corti Catone il censore è «il protagonista della resistenza di Roma agricola e tradizionale all’invasione corruttrice della Grecia, che la spoglia con le sue seduzioni voluttuose di quella severità e forza necessarie ad affrontare le prove della storia» («Scrittore di molta fede», 9 febbraio).
Sempre sul Sole, sulla pagina web, Giovanni Santambrogio ha rilevato le meccaniche profonde dell’ispirazione di Corti, soffermandosi in particolare sul significato del male: «Per Corti il male non è mai generico. Il male porta sempre un nome specifico perché si muove attraverso individui, decisioni, comportamenti. E tutto risponde sempre a un’idea che sorregge e alimenta l’azione. Il Novecento, il secolo breve, vede all’opera due ideologie: il nazismo e il comunismo.
La deriva, la degenerazione e l’annullamento della persona appartengono a queste due realtà storiche che, a loro volta, assumono il volto di uomini che esercitano il potere» («La morte di Eugenio Corti e il silenzio (ingiusto) sulla sua opera», 5 febbraio).
Un primo ponderato bilancio dell’accoglienza critica riservata a Corti, tra entusiasmi e «congiure del silenzio», è stato presentato da Luca Mastrantonio sul Corriere della sera («Eugenio Corti per i cattolici merita il “canone italiano”»), forse anche sull’onda dilagante del popolo del web e della accuse del Giornale e di Libero a riguardo dei pentimenti tardivi della grande stampa. Proprio Libero ha riservato due pagine alla notizia della morte di Corti, a firmare i pezzi, il sottoscritto («Cos’è stato Il cavallo rosso per l’Ares)» e Simone Paliaga («L’epica popolare e cristiana di un Manzoni del Novecento», 6 febbraio): «Vola al cielo con lui l’ultimo della stirpe dei grandi facitori di storie d’Europa dopo però averci consegnato in eredità l’epos del secolo appena trascorso».
Sul Foglio, Edoardo Rialti ha riproposto la cesura tra l’intellighenzia e il calore dei lettori, ma anche ricordato le corde, poetiche e profonde, del Cavallo rosso: «Un affresco che comprende le placide sere nei campi di fine estate, le passeggiate in bicicletta con il primo amore e il sogno ancora confuso di servire il proprio Paese, il bianco accecante delle neve russa e l’azzurro del mare greco, i chiostri universitari e gli orrori dei campi di prigionia, e nel quale compare una altrettanto ricca galleria di personaggi grandi e piccoli» («La promessa mantenuta di Eugenio Corti, ignorato dai critici e amato dai lettori», 7 febbraio).
Grande spazio su “Avvenire”
Naturalmente, la stampa cattolica, Avvenire in primo piano, ha messo perfettamente a fuoco la «Questione Corti». Per il romanziere (e amico) Alessandro Zaccuri, Corti «era uno scrittore completo, formatosi con metodicità caparbia studiando la storia e la filosofia, affrontando con coraggio le ideologie del secolo e prendendosi i suoi rischi, anche sul piano letterario» («Corti. L’antitotalitarismo incompreso», 6 febbraio).
Per Fulvio Panzeri, invece, Corti era «lo scrittore cattolico più amato» («È morto Eugenio Corti, grande isolato», L’eco di Bergamo, 6 febbraio). Ricchissima la rassegna sui quotidiani di provincia, dalla Gazzetta di Parma al Cittadino, dalla Provincia di Como e di Lecco alla Prealpina, dall’Arena di Verona alla Voce di Romagna (con il sempre bravo e fedele Davide Brullo: «La letteratura è il bene: ciao Eugenio», 6 febbraio).
Sulle riviste on line, Corti è protagonista. Paolo Perazzolo sul sito di Famiglia cristiana ha analizzato l’eredità spirituale di Corti («Quello che ci lascia Eugenio Corti», 6 febbraio). Il sussidiario.net ha dedicato diversi approfondimenti con una repentina intervista con Cesare Cavalleri («È stato il Tolstoj italiano», 5 febbraio), e interventi di Renato Farina («Raccontò il Dio incarnato nella sua Brianza», 6 febbraio), Paolo Gulisano («Il cavallo rosso ha formato la mia generazione», 6 febbraio), Benedetto Chieffo («Padre, amico, maestro», 8 febbraio). Sulla Nuova Bussola quotidiana hanno scritto Giulia Tanel e Antonio Giuliano.
Su Tempi.it, l’intervento di mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara, ha riepilogato la lotta per il Regno di Corti, e soffermandosi sul Cavallo rosso, ha ribadito: «È la grande epopea del popolo cristiano della Brianza: qui non si vedono soltanto i protagonisti positivi, ma Corti ha saputo scrivere con molta pietas anche i fenomeni di smarrimento e di tradimento soprattutto a livello intellettuale, che hanno favorito la lenta e inevitabile crisi di tanta cattolicità italiana. Le pagine sull’ambiente dell’Università Cattolica, dei suoi anni di studente, sarebbero da rileggere oggi per ritrovare, al di là degli pseudonimi, i volti e i nomi di coloro che hanno avuto la gravissima responsabilità di attivare quel dualismo fra fede e cultura, fede e impegno umano che è poi stato l’origine di tante crisi».
La miglior conferma a queste messe di articoli sono state le centinaia di persone che hanno affollato i funerali di Corti sabato 8 febbraio. La Basilica di Besana è risultata insufficiente. C’erano le penne nere. C’erano tanti ragazzi. C’erano occhi rigati dalle lacrime, senz’altro, ma la maggior parte erano occhi carichi di riconoscenza. Per un amico che se ne va, per un grande maestro, per un chicco che ha fruttato il cento per uno.
(Alessandro Rivali, febbraio 2014, Studi Cattolici no. 636)