A dieci anni dal Concilio: come un laico vede la situazione
Premessa: l’invito dell’arcivescovo
L’arcivescovo di Milano card. Colombo, in occasione del compimento del decimo anno dalla chiusura del Concilio Vaticano II, ha invitato alcuni mesi or sono la sua Chiesa a «fare il punto» su questo decennio «ricco di tanto bene e di tanta confusione: un decennio dove si trovano insieme i frutti evidenti dello Spirito e ambiguità che dallo Spirito non possono certo provenire». Ciò perché la riflessione di lui, che «è maestro e deve insegnare, sia sorretta dal consiglio e dalle illuminazioni dei suoi fratelli nella fede» presbiteri e laici. «La nostra terra lombarda» egli ricorda «resta bella e feconda anche quando è come perduta tra le nebbie. Ma alla fine arriva il giorno in cui bisogna che le nebbie si diradino e si ritrovi lo splendore del sole».
È in tale spirito che — mentre rimando ad altra occasione l’esame dei pur molto importanti aspetti positivi di questi anni — vorrei tentare una spregiudicata analisi di quelli negativi, cioè di quelle «zone di tenebra» che, come dice ancora l’arcivescovo, «ci fecero sperimentare smarrimenti che neppure nei momenti più disanimati avremmo mai creduto di dover temere». Augurandomi che la franchezza dell’analisi non riesca troppo dolorosa all’eventuale lettore tuttora ancorato alle ben diverse attese suscitate dal Concilio.
I giorni del Concilio
Cos’è accaduto? A mio modo di vedere, questo: mentre da una parte (da parte della Chiesa) col Concilio c’è stata apertura a tutti: ai laici, ai fratelli separati, ai lontani, al mondo contemporaneo, letteralmente a tutti, dall’altra parte non solo non c’è stata vera corrispondenza (cosa che in fin dei conti succede più o meno da duemila anni), ma si sono portati avanti, e a fondo, tentativi di snaturare la Chiesa. Ciò approfittando, a me sembra, non solo delle nostre braccia aperte, ma anche di una nostra reale mancanza di prudenza.
Spettatore lontano del Concilio, ricordo però bene come allora tutti senza eccezione applaudissero la Chiesa: tutti gareggiavano nell’osannarla, non si sentiva più un solo crucifige. Anche chi fino a poco tempo prima aveva insultato e calunniato, si convertì all’applauso (tipico il caso del pornografo Pasolini, che aveva ancora la bocca sporca del livore vomitato contro l’angelica figura di papa Pio XII). Ciò avrebbe dovuto metterci in guardia, e finì invece — letteralmente — con l’inebriarci tutti. Sarà questo un comportamento molto umano; fatto sta che arrivammo a non tenere più conto di quell’ammonimento di Cristo nel discorso della montagna: «Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i vostri padri con i falsi profeti».
La confusione ebbe di fatto inizio — se non vedo male — con l’invito da parte della Chiesa al profetismo dei laici, che — sebbene ineccepibile in sé — si concretò immediatamente in interpretazioni arbitrarie del Concilio stesso. Si arrogarono il compito di profeti sopratutto certi giornalisti… (specie francesi, di cui qualcuno costruì sopra gli applausi di quei giorni la propria fortuna professionale). Il comportamento di costoro — che spesso, non trovando materia per i propri articoli arbitrari nel discorso dei padri conciliari, la traevano da confabulazioni con i più spregiudicati tra gli accompagnatori e i consiglieri dei padri stessi — fu, a mio modo di vedere, del tutto irresponsabile. Tanto più che sui loro elucubrati s’innestava molto spesso il clamore dei mass media della cultura dominante laicista e marxista (in pratica di tutti, o quasi, i grandi giornali e le reti televisive mondiali), il quale clamore era talmente assordante che tutti — fedeli compresi — non riuscivano quasi più a intendere la voce genuina dei padri conciliari. Mentre anche l’inadeguata stampa cattolica finiva, non di raro, con l’esserne influenzata.
I chierici
Se durante il Concilio il comportamento di quei laici fu irresponsabile, vedemmo subito dopo anche parecchi ‘profeti’ chierici (in particolare certi teologi) non rimanere davvero indietro quanto a irresponsabilità. Mossi — è ben possibile — dalla giusta ansia ecumenica di togliere via lo scandalo delle divisioni tra i cristiani, essi si adoperarono, in realtà, a rendere la Chiesa cattolica partecipe non tanto del patrimonio positivo dei fratelli separati protestanti, quanto piuttosto di certe storture ed errori che alle comunità protestanti erano già riusciti terribilmente nocivi e quasi fatali. Alludo alle nefaste teorie di quegli autori protestanti — ma sarebbe più giusto dire ex protestanti ed ex cristiani — che nei loro paesi si erano imposti grazie al sostegno dominante della cultura non cristiana (col risultato pratico che in certe loro comunità — quella danese per esempio, secondo quanto riferisce Piovene nell’Europa semilibera — soltanto l’uno per mille dei fedeli frequenta ancora le chiese). Da un decennio in qua quelle idee nefaste, unite a quelle di autori cattolici a suo tempo disapprovati dalla Chiesa (i vari Teilhard), vengono con insistenza riproposte a tutta la cattolicità.
Va notato che al profetismo seguitano ancora oggi a riferirsi un po’ tutti i contestatori cattolici (ossìa tutti i falsi profeti, e il nugolo di scriteriati che ne diffonde la voce) e da ultimo con particolare insistenza i loro epigoni più pericolosi, i cosiddetti ‘cristiani per il socialismo’.
Chi scrive queste note, ovviamente, non ha nulla contro il profetismo dei laici (il cui riconoscimento da parte del Concilio gli fu anzi, e gli è tuttora, molto caro); egli ritiene però che dai profeti falsi il popolo di Dio dovrebbe in qualche modo essere difeso.
I frutti dei falsi profeti
Leggiamo nel Vangelo: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7, 15). Insiste il Vangelo: «Dai loro frutti li potrete riconoscere» (idem 20).
Quali sono quei”frutti? In cosa c’è oggi autentico regresso rispetto a dieci anni fa? Elencherei per sommi capi come segue: i cattolici allora erano uniti, mentre adesso sono divisi; allora avevano le idee chiare, e oggi le hanno confuse; la pratica religiosa si è rarefatta nei giovani, mentre negli anziani c’è intiepidimento (si è assistito qui a fenomeni per niente comici, come la corsa delle nubili di mezza età a rifarsi delle mancate esperienze sessuali: possiamo forse meravigliarcene, col permissivismo «purché ci sia l’amore» che è subentrato in questo campo?) Ma proseguiamo nella sgradevole elencazione: dopo l’abbandono dello stato sacerdotale da parte di molti sacerdoti, si assiste a un grave calo nelle vocazioni. (M’ha impressionato al riguardo una citazione del defunto vescovo di Ragusa mons. Pennisi: «La mancanza attuale delle vocazioni è, tra tanti pericoli, quello mortale per la Chiesa, ed è insieme il castigo più tremendo di Dio».) E che dire dell’oggettivo stato di dissoluzione (comunque lo si chiami) di organizzazioni cattoliche fino a dieci anni fa fiorenti, come l’Azione Cattolica, la FUCI, le ACLI, ecc? E del pazzesco fenomeno di autoliquidazione di tanta parte della cultura cattolica, per cui le nostre università invece di dare il loro contributo in un’epoca difficile come l’attuale, sono in pratica come inesistenti? E ancora: si avevano ogni anno nel mondo anglosassone alcune centinaia dì migliaia di conversioni al cattolicesimo, che oggi non si verificano più. Tra i popoli del terzo mondo l’azione dei nostri missionari continua grazie al Cielo a dare i suoi frutti: vediamo però che i missionari, mentre si affaticano sulla messe, sono di continuo costretti a difendersi alle spalle, mediante le loro modeste riviste, dagli attacchi di chi vorrebbe in nome del Vangelo (!) intralciare il loro lavoro.
Ancora: in URSS dove — essendo fallito l’esperimento marxista — è in corso uno straordinario inizio di riscoperta dei valori religiosi, non è più alla Chiesa cattolica che si guarda — come si guardava fino a pochi anni fa — bensì alle sette battiste, considerate più salde nella difesa dei valori cristiani contro l’anticristianesimo marxista. (Mi chiedo se qui non stiamo per perdere uno dei più grandi appuntamenti ecumenici della storia, preparato dal sangue di tanti martiri.) Il penoso discorso potrebbe continuare.
Frutti della società industriale?
C’è chi asserisce che vari degli anzidetti guasti sono un inevitabile prodotto della ‘società industriale’, e sarebbero stati anche maggiori senza il nuovo clima venutosi a instaurare nella Chiesa.
Ritengo che a smentire l’affermazione basterebbero opportuni raffronti, dato che il calo non è avvenuto in modo uniforme dovunque. Certamente per una indagine completa occorrerebbero (stanti le non poche implicazioni ecclesiali) persone più competenti e qualificate di me, che sono un semplice laico.
Noto però che ci sono diocesi (come la nostra di Milano, dove l’ambiente non è certo meno ‘industriale’ che altrove) nelle quali le vocazioni si sono ridotte circa alla metà, mentre in altre (trattengo i nomi nella penna) in cui l’effetto delle novità si è fatto sentire in modo più scioccante, le vocazioni si sono ridotte a un quinto o a un sesto. Leggo inoltre che mentre in Germania le vocazioni sacerdotali in questi dieci anni si sono all’incirca dimezzate, in Olanda (ch’è ambiente non credo più industriale della Germania, ma certamente più contestatore) esse sono passate da 301 nel 1963, a 26 nel 1972.
Noto ancora che in Italia l’ordine religioso culturalmente all’avanguardia (e dunque, dobbiamo ritenere, il più aperto alle novità) è passato da un afflusso annuo di 160-170 nuove reclute, a un afflusso di tre o quattro. Ciò mentre in un altro ordine — totalmente missionario questo — l’afflusso è al contrario aumentato, sia pure di poco.
Noto infine che in certe nazioni dell’Est europeo (la PoIonia, la Croazia) in cui notoriamente permane l’antica fermezza, i guai che si lamentano in Occidente non si sono verificati affatto: la pratica religiosa vi è fervida come dieci anni fa, anzi seguita a svilupparsi, e le vocazioni sono oggi così abbondanti che non si può neppure accoglierle tutte. Ciò non è frutto soltanto della persecuzione comunista, visto che in altre nazioni dell’Est (l’Ungheria, la Cecoslovacchia) si lamenta invece la nostra stessa penosa situazione. (Ma in Ungheria le cose non stavano così, ed emerge dalle Memorie del card. Mindszenty che se egli avesse potuto continuare a impedire l’introduzione del processo degenerativo da parte dei cosiddetti ‘preti pacifisti’, non si sarebbe arrivati all’attuale situazione).
Il problema del comunismo
Devo a questo punto segnalare un pericolo che sento come straordinariamente grave: il pericolo cioè, negli attuali frangenti, di un nostro incontro col comunismo. Che tutta la cultura acristiana moderna, tanto progressista che conservatrice, abbia un debole per l’utopia marxista (anche i più distratti l’avranno constato in occasione della tragica vicenda del Viet Nam) è realtà nota, e dall’estensore dei presenti appunti già indagata in altri scritti. Che di conseguenza tale cultura acristiana, disponendo dei più importanti mass media, se ne serva ovunque per impedire al pubblico, specie giovanile, di farsi un’idea di ciò che hanno prodotto e seguitano a produrre nella realtà i tentativi d’attuazione dell’utopia marxista, è spiegabile. Impiegabile è invece che un numero non indifferente di cattolici operi nello stesso senso. Purtroppo in questo caso non si tratta soltanto di falsi profeti, ma anche di persone per il resto sollecite del bene comune, e di una parte ormai considerevole della nostra povera stampa cattolica.
Ci si richiama — com’è noto — al principio della ‘promozione umana’, e in particolare a quel brano della Pacem in terris di papa Giovanni, che invita a distinguere tra le false dottrine e i «movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione». Con questi ultimi movimenti si può collaborare quando essi lavorino di fatto alla promozione umana.
Ora va rilevato che nel caso del comunismo la pratica è senza dubbio peggiore della dottrina, e che detta pratica non ha mai, in alcun modo, portato alla promozione umana, ma ad eccidi e stragi terrificanti, e successivamente — caduto ogni ideale — a una straordinaria disumanizzazione, del tutto imprevista in partenza. Non avendo spazio a disposizione, rimando chi voglia approfondire a uno studio al quale anch’io ho collaborato (Russia 1975, edito dal PIME, Via Mosè Bianchi 94, Milano) in cui l’abbrutimento, l’egoismo, l’alcolismo più devastatore che oggi stanno dilagando in URSS, sono esaminati in dettaglio.
Per arrivare a un tale risultato sono state compiute stragi quali mai si erano viste nel corso della storia: e tali stragi — se si vuol distinguere — le hanno compiute, più che la teoria, i «movimenti storici», in quanto la teoria prevedeva sì, in Marx e nel primo Lenin, omicidi e violenze, ma su scala ridotta, addirittura inferiori a quelli operati dalla polizia nelle società borghesi. Invece in URSS le vittime sono state finora 66 milioni (non è un refuso: 66 milioni), secondo quanto riferisce Solgenitsin citando lo studio del professore di statistica Kurganov.
Quanto alla Cina lo studio analitico eseguito da R. L. Walker per incarico del senato americano da un numero di vittime fino al 1971 compreso tra 34.300.000 (minimo) e 63.784.000 (massimo) a seconda della diversità delle fonti (1). […] Ci sono infine gli eccidi, sempre perpetrati dai «movimenti storici», in tutti gli altri paesi in cui si è tentato di attuare l’utopia marxista; qui vicino a noi particolarmente raccapriccianti in Albania…
E si vorrebbe portare i cristiani a collaborare con questa gente, con questi «movimenti storici»?
Conclusione
Veniamo a una conclusione. Se guardo in me stesso e nei fratelli che mi stanno intorno, constato che ciò che oggi più ci manca rispetto a dieci anni fa è la certezza. Razionalmente mi chiedo se questo bisogno di certezza sia arbitrario, e devo rispondermi che no. Senza un’interpretazione certa infatti (ossia autentica e infallibile) tanto della Rivelazione che del deposito della Tradizione e del Magistero, sia la Rivelazione, che la Tradizione, che il Magistero sarebbero inutili, a tal punto discordi e perfino opposte sono le interpretazioni che in buona fede ciascuno di noi può darne. Constato inoltre che l’attuale mancanza di certezza non ci viene tanto dall’azione in sé dei falsi profeti e dei diffusori delle loro idee, quanto piuttosto dal fatto che chi della certezza è depositario, non sembra risolversi a distinguere tra il popolo che cerca di conservarsi fedele e i falsi profeti che lo insidiano. Vogliamo fare un esempio? Siamo invitati, per l’anno santo, alla riconciliazione. Io credo si tratti d’un invito a ogni figliol prodigo a riconciliarsi col padre e coi fratelli. Questo però mi sembra che dovrebbe essere spiegato, perché non pochi lo intendono invece come un invito a fedeli e contestatori ad incontrarsi a metà strada. Ecco un tipico esempio di ciò che genera incertezza.
Si pone ora la domanda: se quanto è stato fin qui esposto risponde al vero, a chi tocca provvedere? È una domanda che fuori dell’attuale stato di sbandamento avrebbe fatto addirittura ridere. E a chi mai, se non a chi ha provveduto da duemila anni a questa parte? Chi, se non la Gerarchia, è stata investita da Cristo dell’autorità e dei carismi necessari appunto per questo? Mi chiedo: ci sono stati o no dati dei pastori? E se abbiamo i pastori, perché mai a guidare il gregge non dovrebbero essere loro, ma le pecore matte, o le più sbandate? Per laico e in queste cose profano io sia, mi pare che neanche se lo volessero, i pastori avrebbero il diritto di consentire la guida del gregge alle pecore sbandate. E, sempre da quel profano che sono, mi pare che se Cristo li ha voluti pastori, essi non possono comportarsi che come tali, operando scelte di pascoli, e usando se necessario anche il pastorale con la debita energia, come per due millenni hanno fatto, e non limitandosi a denunciare ciò che non va, alla maniera degli intellettuali. Senza di che le cose avranno sempre più difficoltà a reggersi, come — a mio modesto avviso — già questi dieci anni bastano a dimostrare.
Note
(1) Per gli ulteriori enormi sviluppi delle stragi in Cina si veda il mio libro L’esperimento comunista, Edizioni Ares, Milano.