Catone, l’ultimo eroe di Eugenio Corti
Eugenio Corti, negli ultimi anni della vita, abbandonò la forma consueta del romanzo optando per i «racconti per immagini», un nuovo progetto di scrittura che per la sua essenzialità, così l’intenzione dell’Autore, avrebbe potuto più facilmente incontrare il largo pubblico, costituendo inoltre un privilegiato punto di partenza per la trasposizione cinematografica. Nacque così la trilogia: La terra dell’Indio, L’isola del paradiso e Catone l’antico. E proprio a quest’ultima opera, ingiustamente trascurata dalla critica, è dedicato lo studio di Dario Romano, che in Biblioteca Ambrosiana ha potuto consultare le fonti a cui attinse Corti per la stesura del suo Catone. Per l’autore del Cavallo rosso, il grande retore romano era un esempio di virtù, specialmente per la sua determinazione ad assumersi le responsabilità in tempi di decadenza.
Per studiare il Catone l’antico (Ares, Milano 2005) di Eugenio Corti, così come gli altri due «racconti per immagini» (La terra dell’indio e L’isola del paradiso, Ares, rispettivamente 1998 e 2000) con cui esso compone una trilogia, si possono adottare diversi metodi. L’analisi del materiale librario consultato e postillato dall’autore in vista della composizione dell’opera è certamente illuminante, perché rileva debiti e crediti del lavoro creativo, riesce a restituire vigore agli elementi innovativi della produzione cortiana più tarda e riabilita lo scrittore di Besana agli occhi di quei critici che lo vorrebbero monomane nei confronti del comunismo (1).
Per quanto una simile indagine debba necessariamente focalizzarsi sul romanzo specifico, va messo in luce che, data la tipologia di volumi studiati da Corti e l’ampiezza della sua ricerca, il materiale librario da lui consultato per scrivere il Catone sembra appartenere a uno scaffale di casa Corti dedicato non solo ai volumi necessari per quest’opera, ma più in generale a tutti i contributi storiografici riguardanti il mondo antico. I libri per la documentazione preparatoria al romanzo dovevano essere almeno trentasei, di cui però solo ventotto sono conservati all’Ambrosiana di Milano: gli otto eccedenti sono dichiarati dallo stesso Corti come fonti del Catone ma non si ritrovano nella biblioteca del Borromeo, evidentemente perché quella in dotazione lì è solo una parte dell’effettivo numero di volumi posseduti o, almeno, consultati dallo scrittore. Difficile dire se manchino all’appello solo questi otto o anche altri libri non citati ma consultati ugualmente e le cui postille non sono state utilizzate per il romanzo.
In generale, le principali (ma non uniche) direttrici di ricerca di Corti su questi e sugli altri testi mirano ad approfondire anzitutto la situazione storico-sociale di Roma nell’età delle guerre contro Cartagine, i valori dell’epoca, ma anche alcune figure storiche rilevanti di periodi storici successivi, come Cesare, Pompeo e Varrone. Del protagonista del romanzo, invece, si ricercano episodi relativi a tutta la biografia, allo sviluppo della sua vita da grande prosatore latino e da uomo di Stato moralmente corretto, oltre a vicende che lo stesso censore o altri raccontano, specie nelle Orationes. Un filone di grande importanza è poi senza dubbio quello che riguarda l’analisi socio-culturale del mondo greco, con particolare interesse per le riflessioni sulla sorte umana o sulla dimensione profetica dell’opera tucididea nel predire la vittoria del pensiero greco sul mondo.
Ultima direttrice di ricerca è quella sulle vicende di guerra ed episodi di violenza (specie a Roma nella prima età imperiale, ma anche a Cartagine), in entrambi i casi prova della natura aggressiva dell’essere umano. Non si incontra invece l’attenzione che ci si aspetterebbe sul tema dell’educazione dei figli (l’Ad Marcum filium nelle Opere di Catone, della Utet, è poco postillato) e del diritto (il Commentarii iuris civilis va ugualmente deserto), così come stupisce l’assenza di postille sul Dialogus de rethoribus nell’edizione posseduta delle Storie di Tacito.
La struttura del romanzo
Dal punto di vista della struttura, Catone procede a cavallo tra il genere della sceneggiatura e quello del romanzo storico dipanandosi in trentasei episodi contenenti duecento scene in totale, intervallate da sei contaminationes (excursus di vicende storiche precedenti a quelle narrate o inerenti al contesto sociale trattato) e medaglioni dedicati ai profili storico-biografici di Annibale e Scipione l’Africano. La struttura, nel solco degli altri due romanzi della trilogia, risponde alla «poetica» che l’autore definisce «cultura delle immagini» (2;) anzi, come ha sottolineato Cesare Cavalleri in postfazione, risponde e sfida tale cultura (3): è una risposta perché, come riconosce Corti, cinema e televisione dettano ormai i tempi della produzione artistica globale; è sfida perché con tali mezzi si va alla ricerca di contenuti dalla vasta audience più che dall’ampio respiro letterario e umano, che invece è ciò cui punta l’autore brianzolo con i suoi testi.
Corti ha dunque queste finalità quando tesse le fila di due generi differenti mantenendo nel complesso un’unità stilistica: sintassi, lessico, macro-struttura, così come consultazione delle fonti e ripresa di passi da altri volumi non destano particolari sospetti. Una pur interessante analisi di tecniche di storytelling (che non è qui possibile sviluppare) alimenterebbe semmai la riserva sulla resa di alcune scene o delle personalità di alcune figure, tra cui il protagonista, che possono risultare poco avvincenti per una effettiva proiezione sugli schermi (4); tuttavia, nel complesso, considerando che Corti è digiuno di formazione specifica per la narrazione cine-televisiva, l’efficacia narrativa dell’opera è notevole. Lo si evince dai passi in cui Corti inserisce scene apparentemente ininfluenti per la storia, ma che ci consegnano tutta l’umanità dei personaggi, l’aspetto che al brianzolo interessa maggiormente narrare (5). Sono proprio questi aspetti, apparentemente secondari, che abilitano lo scrittore a essere accostato a nomi grandi della letteratura e qui nasce pure la sua maestria nel trattare i temi dell’uomo di sempre con uno stile vivissimo.
Le pagine del Catone, infatti, sono moderne: i suoi personaggi e i suoi temi riguardano anche il lettore distratto del mondo di oggi. Personaggio dopo personaggio, si può dare una lettura tematica (da intendere qui in senso più largo di quello prettamente narratologico) a tutte le figure che si incontrano nell’opera. Inoltre, la scelta di Corti consente di allargare lo sguardo via via dalla piccola cerchia di amicizie del Censore, all’intera città di Roma – in trasformazione significativa a cavallo tra III e II secolo a.C., con problemi e caratteristiche peculiari di un’età che non tornerà mai più, ma che pure è molto simile alla nostra epoca di transizione – e ancora più oltre, lontano, lì dove i temi del romanzo riescono a condurre: famiglia e amore, violenza e guerre, pensiero politico e profezie sulla società in ogni epoca storica, fino alla ricerca del Senso. Corti, dunque, non è affetto da alcuna mania monotematica cui alcuni critici l’hanno relegato. Al contrario: la trilogia, orientata su tre punti cruciali di una costellazione composta da moralità, spiritualità e collettività, oscilla tra i temi del peccato originale (L’isola del paradiso) e le possibilità di redenzione personale offerte dal cristianesimo (La terra dell’indio) passando per il ruolo delle influenze culturali e il riconoscimento dei limiti delle possibilità umane di cui sono piene le pagine del Catone l’antico.
L’esempio del Censore
In particolare, l’autore sceglie di narrare la vita del censore come un caso particolare attraverso cui affrontare un tema di un universale portata quale la moralità: «La sua vicenda – dice Corti – ha dei sorprendenti punti di contatto con la nostra realtà contemporanea» (6), perché egli fu un uomo che «non smise di attirare contro di sé inimicizie in nome del superiore interesse dello Stato» (7) e perché nella sua vicenda umana c’è «un modello anche per noi: la cultura dominante, quella che si sta sempre più espandendo in Occidente, è piena di marcio, come quella contro cui combatté Catone. Corriamo pericoli analoghi, che minacciano la nostra cultura e la nostra civiltà» (8). Nella biografia di Catone, poi, si possono facilmente rintracciare alcuni elementi che hanno dovuto far subito breccia nel cuore dello scrittore: sobrietà, alta integrità morale, impegno letterario (che nel romanzo trova più spazio delle orazioni), attiva vita politica e militare, ma pure il lato più contadino del grande romano. Questo è ricostruito grazie all’analisi dell’evoluzione del lavoro agricolo così come emerge non solo nel De agri cultura catoniano ma anche nel più tardo De re rustica di Varrone, restituendo il quadro di due secoli di storia dell’agricoltura romana, di stili di vita, costumi, usanze, pratiche e doveri dei contadini. Catone è presentato dunque come uomo a tutto tondo, che mette in guardia dalle negative influenze che la civiltà greca può avere sul mos (Corti studia per questo anche i greci di epoche non catoniane come Erodoto, Tucidide, Plutarco, ma anche Mommsen e l’«incomparabile» Jean-Noël Robert (9)) e, di fatto, incarna l’esempio di uomo virtuoso, quasi un cristiano virtuoso ante litteram. La ricerca di Corti sui libri postillati e l’obiettivo ultimo della pubblicazione del romanzo stesso è in fin dei conti proprio questo: dimostrare – ora con il censore ma non solo con lui (10) – che sono sempre esistiti casi in cui una società in decadenza morale è riuscita a rialzarsi, in virtù di un’assunzione coerente e virtuosa delle proprie responsabilità da parte di ciascuno. Perché, dunque, questo non può accadere anche oggigiorno (11)?
Anche i personaggi che ruotano attorno al protagonista sono forieri di temi rilevanti, come la dolce Licinia che, se non fu l’unica donna di Catone (egli da vedovo sposò Salonia e da lei ebbe un altro figlio), rimane il suo primo grande amore, protagonista di scene domestiche dal sapore famigliare. O come Marco, il figlio avuto con Licinia, di cui si traccia tutta la parabola esistenziale: la sua presenza nel romanzo da bambino e giovane giustifica il tema della paternità di Catone; poi, specie tra gli episodi 28 e 32, è egli stesso protagonista, in sostituzione dell’anziano padre. Ancora: si incontrano Lucio Valerio Flacco, il mentore di Catone con cui, oltre alla comunanza di cariche pubbliche, il censore stringerà una profonda amicizia che renderà quest’altra figura quasi un deuteragonista del romanzo, e gli Scipioni, l’Asiatico e l’Africano. Per l’ultimo, il più noto tra i due – indiscusso protagonista della scena politico-militare degli anni di massima esposizione pubblica di Catone, uomo dal fortissimo ascendente sulle truppe e sulla popolazione per le grandiose gesta compiute e quindi con le carte in mano per trasformare la Repubblica in una dittatura qualora l’avesse voluto (donde la paura di Catone) – Corti non ha nascosto l’apprezzamento, giungendo di fatto a definirlo naturaliter christianus (12).
Citando anche Annibale (che pure non compare mai in azione in tutto il romanzo), l’autore dirà poi che «comparando fra loro i tre uomini noi definiremmo: Annibale il più grande – Scipione il più realizzatore (e il più umano) – Catone il più utile alla salvezza interiore del mondo romano, quindi anche del nostro» (13). È uno scontro tra titani, di grandissima attualità anche per noi. Lo stesso momento storico in cui sono ambientate le vicende, i 53 anni (dal 216 al 163 a.C.) in cui – come ricorda Polibio nel proemio al primo libro delle Storie – i romani hanno avuto un’espansione straordinaria e straordinariamente veloce (53 anni che intersecano in pieno l’arco biografico di Catone), introduce il tema di una città in una «crisi di crescenza» alle prese con i problemi di sempre e pure con nuove spinose questioni. Passando dal dramma della schiavitù alle conseguenze socio-economiche della colonizzazione inattese per molti cittadini coinvolti, Corti arriva a trattare della già citata influenza della cultura e del pensiero greco sulla civiltà romana, poiché il parallelo che egli individua fra quella minaccia di un tempo e le nuove minacce del mondo contemporaneo (individualismo, ateismo, perdita di ogni valore, ecc…) è di fatto l’asse portante di tutto il suo romanzo. Per fare questo all’autore sono molto utili diversi passaggi del Robert, che scandaglia a fondo il tema mettendo in luce le minacce ma pure i benefici di questo fenomeno (14), giudizio ambivalente che adotta anche Corti quando riconosce che Catone «vedeva soprattutto la corruzione che stava entrando in Roma» per quanto «sulla filosofia e sull’arte greche, unite al diritto romano si sarebbe poi retta Roma, e successivamente, per due millenni la civiltà dell’Occidente». (15)
Altri aspetti, infine, conducono verso lidi più ampi, esplorati alla ricerca del Senso: la famiglia, con uno spaccato delle virtù umane e matrimoniali di Catone (16), e le considerazioni sull’amore umano in una stupenda pagina che vede protagonisti i giovani Marco Catone figlio e Scipione Emiliano, a riposo dopo la guerra in Macedonia in cui hanno dato prova di sé, che sulla tolda di una nave, invece di lasciarsi trasportare dall’esuberanza giovanile, si mettono a discutere di cosa comporti amare per davvero una donna (17). E ancora: la violenza umana e la guerra (nel solo romanzo si parla di ben otto conflitti), a proposito della quale Corti, come in altre opere, ammonisce l’uomo, offrendo la testimonianza di cosa significhi vivere sulla pelle un trauma bellico.
Tutto questo – potremmo dire addirittura tutta l’attività di Eugenio Corti – è tenuto insieme da un filo rosso che attraversa il romanzo: il Senso, quello dell’esistenza umana e di ogni azione storica, il motivo per cui battono i cuori dei personaggi. Per il cristiano Corti questo Senso ha una chiara identità: ma come riuscire a parlare anche a chi non si pone una domanda su di esso? Anche a questo serve l’arte. L’autore segue due direttrici: dimostrare che il cristianesimo – il Senso della sua vita – illumina l’esistenza grazie all’unica Verità (18) e, poi, rintracciare spiragli di questa Verità, spesso in forme di massime e aforismi, tra le pagine dei libri anche non cristiani che consulta (19).
Egli radica il Senso nella Bellezza e nella Verità e lascia che esse (entrambe in maiuscola perché sono quelle che orientano l’uomo verso una dimensione eterna) lo comunichino con efficacia sulla pagina da lui vergata (20). Questa vincente opzione tematica è resa possibile perché Eugenio Corti, come e su modello di Catone, è un «profeta». Lo ha riconosciuto il massimo esperto della sua letteratura, François Livi, quando ha parlato di Corti «testimone, scrittore e profeta», in una parola «il maestro, per la perfetta coerenza tra ciò che professava e il modo in cui agiva» (21): Corti ha cercato infatti di leggere gli eventi della sua vita sub luce aeternitatis, per individuare il filo rosso che li lega tutti».
Davvero si possono applicare al Nostro le parole che egli stesso, in un libro postillato, ha evidenziato con interesse a proposito di Tucidide: Eugenio Corti è un maestro, perché ha saputo dare «il ritratto perennemente vivo di questa umanità che, attraverso infinite esperienze, sublimi e diaboliche, conserva pur sempre l’aureo sigillo d’un’origine e d’una mèta divina» (22).
Di questo bisogna essergli profondamente grati.
(Dario Romano, giugno-luglio 2019, Studi Cattolici no. 700)
Note
1. Da qui ha preso le mosse una ricerca, ispirata da Cesare Cavalleri e Alessandro Rivali, che ha portato chi scrive alla redazione della tesi di laurea magistrale “L’Antico e i moderni: tra le pagine di Eugenio Corti per il suo Catone”, discussa all’Università Cattolica di Milano lo scorso 30 novembre con la relazione del ch.mo prof. Giuseppe Langella e la controrelazione della prof.ssa Elena Rondena. Il materiale analizzato è custodito oggi presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano: la consultazione è stata resa possibile grazie alla cortesissima disponibilità della signora Vanda di Marsciano e del direttore della bi- blioteca, rev. prof. don Federico Gallo.
2. Cfr P. Scaglione, Parole scolpite (I giorni e l’opera di Eugenio Corti), pref. di F. Livi, Edizioni Ares, Milano 2002, p. 38.
3. E. Corti, Catone l’antico, postf. di C. Cavalleri, Ares, Milano 2005, p. 430.
4. Sono considerazioni che vengono dall’applicazione al romanzo di quanto teorizzato in J. Truby, Anatomia di una storia (I ventidue passi che strutturano un grande script), trad. di V. Tavini, Dino Audino Editore, Roma 2009, manuale di storytelling di vasta accoglienza internazionale.
5. Cfr., per esempio, almeno la scena 60.
6. Cfr. S. Senese, Controcorrente, fedele a una tradizione di bel- lezza e verità, in «Fides Catholica», I (2006), 2, p. 194.
7. Cfr. Catone, Opere, vol. I, a cura di P. Cugusi e M.T. Sblendorio Cugusi, UTET, Torino 2001, p. 25.
8. Cfr. M. Meschini, Catone, il bisbetico che vedeva lontano, in «Il Giornale», Milano, 28 aprile 2005.
9. È quanto scritto a mano da Corti su un foglietto ritrovato tra le pp. 406 e 407 del Caton ou le citoyen, cit.,: «Incomparabile in merito all’influenza della cultura greca sul mondo romano».
10. Non possono sfuggire a uno sguardo attento le molte postille attorno alla figura dell’altro Catone, l’uticense, che Corti appone a M. Meslin, L’uomo romano (Uno studio di antropologia), Mondadori, Milano 1981.
11. La prova che proprio in questo senso fili il ragionamento cortiano – evidentemente ispirato dall’ottimismo cristiano – è fornita anche in P. Scaglione, Il mondo del vivere solidale, in La trama del vero, Missaglia, Bellavite 2000 pp. 95-96.
12. Cfr. E. Corti, Catone l’antico, p. 309.
13. Ivi, p. 310.
14. Cfr., per esempio, J.-N. Robert, Caton ou le citoyen, cit., pp. 24, pp. 66-67 e p. 232.
15. E. Corti, Catone l’antico, p. 243.
16. Per esempio, ivi, p. 131.
17. Ivi, pp. 345-346.
18. Cfr. per esempio Tacito, Le storie e le opere minori, vers. di C. Giussani, Mondadori, Milano 19453, p. 392 e E. Corti, Catone l’antico, pp. 135-136.
19. Cfr. almeno Catone, Opere, I, p.333 e M. Meslin, L’uomo romano, p. 167.
20. Si veda l’interessantissima contaminatio post contaminationem proprio sulla bellezza (e la bruttezza) nell’arte alle pp. 417- 418 del romanzo.
21. Così Livi alla cerimonia di premiazione del Primo Premio Internazionale Eugenio Corti, svoltosi il 17 gennaio 2018 a Milano, a Palazzo Pirelli.
22. Tucidide, La guerra del Peloponneso, vol. I, trad., intr. e note di L. Annibaletto, Mondadori, Milano 1952, p. 11.
Regesto dei volumi per il Catone ora all’Ambrosiana di Milano:
– E. Acquaro, Cartagine: un impero sul Mediterraneo, Club del libro fratelli Melita, La Spezia 19872.
– E. Anati, Civiltà preistorica della Valcamonica, Il Saggiatore, Milano 1964.
– Catone, Opere, voll. I-II, a cura di P. Cugusi e M.T. Sblendo-rio Cugusi, Utet, Torino 2001.
– T. Cornell – J. Matthews, Atlante del Mondo Romano, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1984.
– Erodoto, Le storie, intr., trad. e note di A. Izzo D’Accinni, Sansoni, Firenze 1951.
– Guida della preistoria italiana, a cura di A.M. Radmilli, Sansoni, Firenze 1975.
– L. Jerphagnon, Histoire de la Rome antique (Les armes et les mots), Tallandier, Paris 19952.
– M. Meslin, L’uomo romano (Uno studio di antropologia), Mondadori, Milano 1981.
– T. Mommsen, La vita quotidiana nella Roma di Giulio Cesare, I nobel letterari editrice, Roma 1970.
– Id., L’impero di Roma, voll. I-III, a cura di Antonio G. Quattrini, Dall’Oglio, Milano 1966.
– D. de Monfreid, Giornale di bordo del fenicio Meneceo, trad. di O. Riondino, Rusconi, Milano 1977.
– S. Moscati, Antichi imperi d’Oriente, Club del libro fratelli Melita, La Spezia 19872.
– Plinio il Giovane, Lettere ai familiari, a cura di G. Vitali, Zanichelli, Bologna 1963.
– Plutarco, Focione e Catone, con intr. e note di A. Avancini, Vallardi, Milano 1925.
– Id., Vita di Agesilao e di Pompeo, con intr. e note di G. Zermini, Carlo Signorelli Editore, Milano 1940.
– L. Quilici, Roma primitiva e le origini della civiltà laziale, Newton Compton, Roma 1979.
– J.-N. Robert, Caton ou le citoyen (Biographie), Les Belles Lettres, Paris 2002.
– Sallustio, La congiura di Catilina, con intr. e note di S. Prestigiacomo, Carlo Signorelli Editore, Milano 1964. – Id., Opere complete, a cura di R. Ciaffi, pref. di G. Pontiggia, Bompiani, Milano 1983.
– J.-C.L. S. de Sismondi, La storia della caduta dell’Impero Romano e del declino della civiltà, a cura di C. Cantù, Messaggerie Pontremolesi, Torino s.d.
– Tacito, Gli annali, vers. di C. Giussani, Mondadori, Milano, 19453.
– Id., Le storie e le opere minori, vers. di C. Giussani, Mondadori, Milano 19453.
– Tucidide, La guerra del Peloponneso, voll. I-II, trad., intr. e note di L. Annibaletto, Mondadori, Milano 1952.
– Varrone, Opere, a cura di A. Traglia, UTET, Torino 1974.