Addio a Eugenio Corti tra cattolicesimo e romanzo epico
La carriera letteraria di Eugenio Corti, morto ieri nella sua casa di Besana Brianza a 93 anni, comincia nel 1947, con la pubblicazione di I più non ritornano, forse il primo libro sulla ritirata di Russia, avvenimento tra i più tragici della Seconda guerra mondiale. Corti descrive le vicende dolorose vissute dall’armata italiana, dal momento dello sfondamento del fronte a opera delle divisioni sovietiche. Il libro, autobiografico, ebbe notevole successo e si fregiò anche di una recensione di Benedetto Croce: sulla sua scia usciranno altre opere, dal Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, a Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi e alla Ritirata di Russia di Egisto Corradi. È un testo già pervaso di profondo spirito cattolico: la presenza di Dio è più che mai evidente sulle steppe ghiacciate della Russia. Seguiranno a ruota I poveri Cristi, il cui argomento è la guerra di liberazione. L’opera, di spiccata e un po’ intransigente valenza anticomunista, trovò difficoltà ad essere accettata da una cultura in gran parte schierata a sinistra, come accadde poi al testo teatrale Processo e morte di Stalin, messo in scena nel 1962.
Nel 1983 esce presso una casa editrice d’impostazione cattolica, l’Ares, dopo una stesura più che decennale, Il cavallo rosso, grosso romanzo generazionale, che abbraccia trent’anni di storia e vita italiana, dal 1940 al 1978, ovvero dallo scoppio della guerra all’anno dell’assassinio di Moro. L’opera mescola avvenimenti inventati e fatti reali, proponendosi come una reincarnazione del romanzo storico ottocentesco; ne risulta qualcosa, come fu fatto notare dalla critica, soprattutto cattolica, d’intermedio fra i Promessi sposi del Manzoni e Guerra e pace di Tolstoj.
Non si trattava solo di un’indicazione tecnica, ma d’un giudizio di qualità, pronunciato pressoché all’unisono prima in Italia, quindi, soprattutto, all’estero. Fra tutti spicca il quotidiano Le Monde, che, in occasione della traduzione francese, saluta Il cavallo rosso come «un romanzo inclassificabile, che ci offre le chiavi per la nostra epoca».
Peter Milward, dalla Sophia University di Tokyo, lo definisce addirittura «miglior libro del ventesimo secolo» che «chiede d’essere messo in lizza anche per il ventunesimo secolo». Il romanzo, giunto oggi alla ventiquattresima edizione, sempre presso la Ares, in Italia appare tuttora tanto osannato da parte cattolica, quanto sostanzialmente ignorato, soprattutto negli ultimi anni, da quella laica.
È questa la stranezza del “caso Corti”: non si paragona impunemente un autore a Tolstoj, senza che ne nasca una discussione supra partes. Credo che di questo siamo tutti debitori a questo scrittore: il giusto omaggio a lui e il modo migliore di celebrare la sua morte è quello di rileggere, o leggere, con serenità Il cavallo rosso, non di farne oggetto, con giudizi e silenzi spropositati, di atteggiamenti sostanzialmente ideologici. È giusto ricordare qualcuno dei libri successivi di Corti, ad esempio La terra dell’indio, ambientato nell’America latina del Settecento, negli anni dell’evangelizzazione operata dai gesuiti. Ultima opera è Il Medioevo e altri racconti, che retrocede ancora di più nel tempo un complesso di problematiche connesse a una militanza cattolica di cui si può apprezzare una coerenza che è durata tutta la vita.
I funerali di Corti si svolgeranno sabato prossimo alle 10.30 nella basilica di Besana Brianza.
(Giuseppe Leonelli, 06/02/14, Repubblica)