Nelle lettere a Vanda il volto inedito di Eugenio Corti

Voglio il tuo amoreNel libro “Voglio il tuo amore” lo scrittore mette a nudo se stesso nelle lettere a Vanda di Marsciano, che dopo anni di fidanzamento diventerà sua inseparabile sposa.

“Tu sei la mia Beatrice, che mi ha tratto dal basso e che mi eleva”. Basterebbe questa frase per riassumere quello che fu Vanda di Marsciano per Eugenio Corti (1921-2014): sposa inseparabile, sostegno nei momenti cruciali, ispirazione di tanti indimenticabili personaggi femminili che affiorano dall’epopea del Cavallo rosso.

Per conoscere la loro storia e scoprire un volto inedito di Corti (gli ultimi anni dell’università, il sogno di scrivere dopo il successo de I più non ritornano, ma la fatica nel preparare I poveri Cristi, il secondo tormentato libro) è davvero interessante addentrarsi nelle pagine di Voglio il tuo amore. Lettere a Vanda 1947-1951 (Ares, pagine 272, euro 16), libro inedito di Corti da poco in libreria.

Il fidanzamento tra Eugenio e Vanda fu lungo e accidentato, un alternarsi cocente di entusiasmi e disillusioni. Erano entrambi giovani, con un carattere forte e l’anima ferita dalla guerra. Eugenio aveva vissuto l’orrore della ritirata di Russia. E, dopo lo sfacelo dell’8 settembre, aveva attraversato a piedi l’Italia centrale (come racconta negli Ultimi soldati del re), per unirsi agli inglesi e combattere i tedeschi.

Da parte sua, invece, Vanda, dopo la guerra, si ritrovò con un padre in prigione che doveva difendersi dall’accusa di collaborazionismo (era stato prefetto di Rieti nel 1943-44): gravata dai problemi famigliari e dalle difficoltà economiche, non si sentiva pronta per un impegno come il matrimonio.

Di certo, Eugenio restò folgorato da Vanda fin dal loro primo incontro in Cattolica a Milano, nell’estate del 1947. Così iniziò la sua prima lettera, da Besana, la sera del 14 luglio: “Nella mia solitudine, quando ho visto te, mi è sembrato che la tua bellezza esteriore non fosse, come molte, soltanto esteriore, ma fosse lo specchio di quella dell’anima. Per questo ho desiderato conoscerti e divenirti amico. Tu hai accennato a una tua grande sofferenza. Io quella sofferenza l’avevo letta nei tuoi occhi fermi e sinceri: questo è stato uno dei più forti motivi che mi ha spinto a te. Anch’io ho molto sofferto…”.

Dopo tre anni di chiaroscuri perfettamente radiografati in questa intensa corrispondenza giunse l’happy end, con il matrimonio celebrato ad Assisi da don Carlo Gnocchi il 23 maggio 1951.

Era stato un lungo viaggio. Attraverso le lettere Corti mise a nudo la sua anima, ma anche la sua vocazione di scrittore: “Ti tengo qui al mio tavolo, vedi? È un qualunque tavolo da case di montagna, grezzo e ancora con l’ombra di un profumo di resina. Su questo io scrivo. Vedi questo grosso mucchio di fogli? Tante cose: sangue, sofferenze, innumerevoli vicende nelle quali io mi sono trovato, per Provvidenza, coinvolto, come una formica in una tempesta, si perderanno nel ricordo, saranno per gran parte state e sofferte invano se io, con l’aiuto di Dio, non saprò trarne l’essenziale, l’universale, che le fissi per sempre. L’universale mi sto sforzando di costringere in quei fogli”.

Di seguito pubblichiamo una lettera inedita di Corti contenuta in Eugenio Corti, “Voglio il tuo amore”. Lettere a Vanda 1947-1951.

Bormio, 23 Settembre 1948

Vanda mia,
sono stato a casa per un giorno e mezzo. Passava da Besana la Madonna Pellegrina, e il mio paese Le ha fatto un’accoglienza come pochi.

Non c’era muro che non fosse parato di verde e di fiori; non portale o frontone privo di illuminazione festosa. Molti devono aver fatto sacrifici, per ornare così le loro case.

Tu comprendi come vedere tutto questo m’abbia fatto piacere, malgrado le considerazioni amare e scettiche che uno come me, dopo aver visto il nostro popolo in altri suoi aspetti o esplosioni, non poteva tralasciare di fare.

Davanti a casa nostra, nel giardino, c’era un gioco di zampilli illuminato e, piatto forte, un alto braciere con un fuoco finto: strisce di seta e di carta, illuminate in rosso e tenute ritte e agitate da una colonna d’aria.

Gli elettricisti dello stabilimento di papà s’erano infervorati anche loro, come vedi, e il loro fervore attivo s’era mescolato a quello direttivo dei miei famigliari.

E appunto per quel fervore, dopo averci in un primo tempo lasciati a Bormio solo in due gatti, che alla vigilia la mamma ci aveva telefonato di calare anche noi al piano.

Contavo di tornare a Bormio lunedì in moto.

Così sarei prima passato da Milano, da te, bambina mia.

Attendevo quell’ora, ma non è stato possibile. C’era con i predicatori che accompagnavano la Madonna un frate letterato, che desiderava conoscermi (pensa, aveva citato il mio libro nella prima predica).

Per parlarmi un po’ a lungo ha voluto che un comune amico ci accompagnasse a Bormio in macchina.
Triste non averti potuto vedere.

Ma fortunatamente non mancano molti giorni al ritorno a Besana.

A Bormio dunque per lunedì sera. Martedì, ancora buio, sono partito in torpedone per una gita a St. Moritz. Avrai ormai ricevuto la cartolina che di là ti ho mandato. È stata una gita interessante per la conoscenza dell’ambiente svizzero, ma come potevo gioire della bellezza dei luoghi se tu non eri con me?

Meditavo, ora per ora, di ripeterla solo con te. Tutto allora non diventerà che cornice a te; e noi gioiremo d’una cornice che s’abbellisce del tuo riflesso.

Dolce bambina mia!

Mercoledì mattina, ieri, finalmente, sono corso alla casella postale di Bormio: c’erano due tue lettere. Due!
Che smania di leggerle, di ritrovarmi con te!

Eccola la tua scrittura, che riflette tanto di te, la tua voce, le tue parole preoccupate di me, la tua affermazione, la prima, che mi vuoi bene.

Anche io ti voglio bene, Vanda. Ti voglio bene, e vorrei averti qui.

Dio benedica il nostro Amore. A Lui, insieme con te, ora lo consacro nel suo nascere. Cresca, il nostro Amore, come un grande albero fecondo, nello spirito, fecondo nella carne.

Vorrei intrattenermi ancora con te, quante cose da dirti, che piena nel mio cuore.
Vorrei parlarti del mio lavoro, di come attenda, come un buon artefice al martellamento, allo scalpellamento delle mie pagine. E la tua testolina che s’affaccia di sopra alla mia spalla a leggermi.

Ti piacerà quello che scrivo? Di quante cose dovrei parlarti!
Ora ti abbraccio stretta; che tu sia benedetta.

Eugenio

(Alessandro Rivali, 04/07/19, Il Sussidiario)