“Il Cavallo Rosso ha formato la mia generazione”
“Per realizzare un libro grandioso occorre scegliere un tema grandioso”. Così scriveva nel 1851 Herman Melville a Nathaniel Hawthorne. Il primo era lʼautore di Moby Dick, il secondo della Lettera scarlatta, entrambi i romanzi di fondazione della letteratura americana. Melville aveva pienamente ragione. Infatti scrisse un libro che ebbe nel suo tempo un clamoroso insuccesso, ma che ha rappresentato il ritorno dellʼepica nella letteratura moderna.
Anche Eugenio Corti scelse un tema grandioso per il suo capolavoro, Il cavallo rosso, e ne uscì un libro grandioso, un unicum per la letteratura italiana del ‘900, e per il suo stesso autore. Opera dalle radici antiche, tanto da potersi definire epica. Epico in quanto racconto sacro. Un poema epico infatti è unʼopera esemplare che narra le gesta, storiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo, mediante le quali si conserva e tramanda la memoria e lʼidentità di una società o di una civiltà.
Così è stato per il Cavallo rosso, una trilogia che è lʼepica di persone comuni trascinate in vicende tanto più grandi di loro.
Lʼepica narra il mythos, cioè il racconto di un passato glorioso di guerre, e di avventure. Lʼepica rappresenta la prima forma di narrativa, e spesso costituisce anche una sorta di sintesi del sapere religioso, culturale e politico di una civiltà. Il fulcro dellʼepica è costituito dalle gesta dellʼeroe, che si caratterizza per le sue particolari qualità, sia che si tratti di virtù che di difetti. Lʼepica di Corti non è stata nazionalista, né ideologica, e pertanto non ha goduto dei favori di chi legge la realtà attraverso il filtro dellʼideologia. La sua narrazione riguarda lʼumano, e solo quello. O meglio – e questo è il fulcro del romanzo, il tema grandioso, per dirla con Melville – il rapporto tra ciò che è umano e la sua origine, cioè il Divino. Corti racconta ciò che accade quando lʼuomo spezza il suo legame di relazione con Dio: guerre, dittature, violenze, un mondo ingiusto e terribile. Questo è il mondo senza Dio, il mondo che volta le spalle alla Luce e scivola inesorabilmente verso le tenebre.
Questa è lʼepica della trilogia, che ricorda – per temi e protagonisti – molto di più Il Signore degli Anelli di Tolkien piuttosto che i romanzi russi, come Guerra e pace – ai quali Corti è stato spesso accostato. In realtà le vicende dei protagonisti, eroi umili, ma autentici, da Ambrogio Riva a Manno, a Michele Tintori, sono la testimonianza di come ciascun uomo è fatto per cose grandi, anche chi vive nella condizione più meschina. Siamo una scintilla destinata a dare luce, e a salire verso lʼalto. Così vediamo nel corso della storia di Corti i protagonisti principali, specie Ambrogio e Michele (due nomi a forte valenza simbolica, come in ogni epica che si rispetti) crescere, cambiare, percorrere un cammino di vera e propria ascesi, non spiritualista, ma nelle circostanze concretissime in cui sono chiamati a vivere.
Ecco allora il Cavallo rosso apparire come un vero e proprio romanzo di formazione. Forse rappresenta lʼunico vero esempio in Italia di questo tipo di letteratura, tipica del Romanticismo dellʼ800, ma che in molti paesi, come ad esempio la Gran Bretagna o lʼAmerica, è sopravvissuto a lungo sotto le specie dellʼavventura, unʼavventura intrisa di simboli, di valori.
In Italia questo genere letterario è sempre stato poco amato dalla critica, che lo giudica pedagogico e moralista. In realtà si tratta di un tipo di narrazione che può essere a volte stucchevole, ma che può dare allo stesso tempo degli esiti affascinanti. Quando Il cavallo rosso uscì, nel 1983, fece innamorare di sé una generazione di giovani lettori in cerca di verità, in cerca di cose grandi per cui vivere. Chi scrive appartiene a quella generazione. Ebbi poi la fortuna di incontrare personalmente Eugenio Corti nella sua bella casa di Besana nel 1996. Avevo appena pubblicato il mio primo libro, un saggio sui Cristeros, i martiri messicani, e Corti mi invitò da lui dopo aver letto il libro. Voleva complimentarsi, e allo stesso tempo incoraggiarmi a continuare a scrivere, a raccontare storie e vicende che meritavano di essere conosciute e lette. Quel giorno incontrai un vero maestro, un uomo dalla sobria eleganza spirituale, con occhi che facevano trasparire una commovente purezza di cuore. Mi parlava di sé, ma soprattutto di ciò che aveva visto, udito, incontrato in vita sua.
Maestro quindi in quanto testimone. Mi parlò dellʼesperienza quasi soprannaturale che aveva fatto in Russia di uomini di fronte alla morte, a quel grande Mistero. Mi parlò della storia, e a me che avevo scritto degli orrori delle ideologie del ‘900, disse di scavare ancora più a fondo per trovare le radici della grande Ribellione moderna contro Dio. “NellʼIlluminismo?” chiesi. “No, ancora prima” mi rispose. “Nel Rinascimento, nellʼUmanesimo neo-pagano”. Fui sorpreso, ma allo stesso tempo capii che mi stava indicando una traccia da percorrere.
Per tutti quelli che lo hanno incontrato, Corti è stato questo maestro autentico che invitava ad aprire gli occhi e la mente, a non conformarsi al mondo, come dice la Scrittura, ad essere un cercatore di Verità, e a non avere paura di vivere secondo questa Verità, a costo di pagarne le conseguenze.
(Paolo Gulisano, 06/02/14, Il Sussidiario)