“Superamento delle divisioni tra cristiani, sfida da vincere”
La vecchiaia è di per sé una malattia, dicevano i latini. Incontri Eugenio Corti, 79 anni compiuti il 21 gennaio, e scopri che non è vero. Se la vecchiaia ha un volto ideale, è quello di questo scrittore dalla barba perfettamente curata, lo sguardo giovane dietro al quale si intuiscono i guizzi di nuove storie, nuove avventure da raccontare nell’appuntamento con il foglio bianco. Il volto signorile, lo sguardo intenso che campeggia a tutta pagina su “Le Figaro Magazine”, laicissimo e autorevolissimo settimanale parigino del sabato, che non ha avuto remore a trasformare il cattolicissimo Eugenio Corti in un caso letterario internazionale.
In Francia Corti sta conoscendo una fama straordinaria proprio in questi mesi: prima con “Il cavallo rosso”, e ora con il “Processo e morte di Stalin”. Non può essere una malattia, la vecchiaia, se produce ancora frutti così copiosi e saporiti.
Ma non finisce qui: il grande romanzo di Corti è approdato anche in Romania, tre volumi tradotti da Ion Patrascu, un docente dell’università di Bucarest. E dopo la Francia e la Romania, arriva il turno degli Stati Uniti: in primavera il Cavallo Rosso esce tradotto in americano a San Francisco, presso una delle più importanti case editrici degli States.
Corti, che pure ha il cuore capriccioso da tenere a bada, non si ferma: sta per affidare all’editore un nuovo romanzo: si intitolerà “L’isola del paradiso” e narrerà la vera storia degli ammutinati del Bounty. Nella bella casa di Besana, mentre fuori c’è un freddo aggressivo, la signora Wanda ci racconta con qualche patema che le coronarie del marito sono diventate troppo fragili. Ma poi, nel grande salotto arriva lui, accompagnato dalla fedele cagnetta Colibrì, un Lakeland Terrier, e lo troviamo quello di sempre: il portamento di un che è uscito vivo dalla ritirata di Russia, e tutto il resto è allenamento.
Dottor Corti, qual è il suo bilancio di questo ‘900 che se n’è andato?
E’ stato il secolo delle grandi contraddizioni: abbiamo conosciuto grandi progressi nel tenore di vita, la medicina ha fatto passi da gigante, strappando milioni di vite a malattie un tempo letali. Ma nello stesso tempo il ‘900 sarà ricordato come il secol o più omicida di tutta la storia.
Il Papa a Denver lo definì “il secolo di Caino”…
Difficile dargli torto. Il nazismo ha fatto dai 20 ai 25 milioni di vittime. Il comunismo, in un lasso di tempo molto più ampio, più di 200 milioni. Si potrebbe dire che il ‘900 è una mirabile sintesi di tutta la storia dell’uomo, secondo l’interpretazione che ne fornisce Agostino d’Ippona: la Città celeste e la Città terrena si alternano e si fronteggiano in perenne conflitto.
Eppure, il ‘900 ha anche una sua originalità sul piano della cultura. Si potrebbe dire che questa fetta di storia è stata caratterizzata da un fenomeno nuovo e allarmante: la “sostituzione di cultura”. In Italia, come in gran parte del mondo occidentale, si è assistito a un graduale processo di trasformazione che mirava – e continua a mirare – alla sostituzione della cultura cristiana con la visione del mondo illuminista. L’illuminismo che soppianta il cristianesimo.
Con quali mezzi?
Beh, un ruolo determinante lo hanno avuto i mass media, la televisione soprattutto. Oggi la sostituzione di cultura si manifesta violentemente nella scuola, intorno alla quale si sta scatenando un progetto di egemonia ideologica senza precedenti.
Ma l’idea di cancellare il cristianesimo dalla cultura dominante ha origini più antiche…
Indubbiamente. Il Rinascimento ha visto consolidarsi due umanesimi, uno cristiano e l’altro anticristiano. In mezzo a queste due posizioni se n’è poi attestata una terza, ispirata al platonismo, e che noi oggi definiremmo laicista. Dall’illuminismo, passando per Kant, si è sviluppato l’idealismo tedesco di Hegel, che ha prodotto i due filoni culturali che sono alla base delle due grandi ideologie del ‘900: da una parte Feuerbah, il materialismo dialettico e quindi Marx e il comunismo; dall’altra Nietzsche, la volontà di potenza e quindi il nazionalsocialismo.
Qualche lettore potrebbe impressionarsi: proviamo a semplificare
La corrente di pensiero anticristiana, nata nel Rinascimento, è arrivata, nel ‘900, a manifestarsi con un atto estremo: il proclama della “morte di Dio”. Dagli scaffali delle biblioteche e dai libri delle élite intellettuali, queste tesi si sono incarnate. Le stragi, i lager, i gulag, gli orrori del ‘900 si spiegano da qui.
Insomma, come scriveva Giovanni Testori, quando l’uomo decide di togliere di mezzo Dio, come primo risultato toglie di mezzo l’uomo…
Certamente. Il laicismo, di per sé, non è anticristiano o ateo: quando i giacobini lanciano il loro grido “libertà, uguaglianza, fraternità” sembrano riprendere, in parte, concetti tipicamente cristiani. Ma poi compiono la terribile strage di Vandea, seminano morte e distruzione, surriscaldano la lama delle ghigliottine. Negato Dio, il Dio cristiano, cominciano le stragi.
A questo proposito lei ha appena scritto un saggio che contiene nel titolo un atto d’accusa: “Le responsabilità della cultura occidentale nelle grandi stragi del nostro secolo”. Può spiegarci perché?
Il laicismo che ha preso progressivamente piede nelle democrazie liberali è stato spesso collateraale al comunismo d’oltre cortina: ne ha tessuto sovente le lodi, ha assecondato la mitologia del “paradiso del proletariato”, ne è stato affine sul piano dell’ateismo militante. Adesso che il comunismo è morto, gli sopravvivono i “consumisti”: non si dichiara più guerra aperta a Dio, a Cristo, ma si porta avanti un più subdolo ma non meno efficace “materialismo pratico”.
Le ideologie, si dice oggi, sono morte. E il cattolicesimo?
Avrebbe potuto stravincere per abbandono degli avversari, ma questa vittoria non c’è stata. Il cattolicesimo ha vissuto in questo secolo una crisi profonda, che Paolo VI ha ben sintetizzato nel 1972 con un suo celebre discorso dagli accenti drammatici, inquietanti: il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio. Vale a dire: c’è stata una fortissima infiltrazione di pensiero non-cattolico all’interno della cattolicità. Ci sono stati pensatori che, in perfetta buona fede, hanno condotto il mondo cattolico alla paralisi attuale, all’insignificanza sociale e politica: penso, ad esempio, a Jaques Maritain, o a Giuseppe Dossetti.
Qual è la sfida che la Chiesa raccoglie per il nuovo millennio?
Penso che la scommessa da vincere sia il superamento delle divisioni fra i cristiani. Una sfida immane, perchè la Chiesa di Roma, avendo ricevuto il depositum fidei direttamente da Cristo, non può rinunciare a nulla che non sia essenziale. Le verità di fede non sono proprietà del Papa o dei vescovi, che hanno il compito di custodirle e predicarle. L’altra grande sfida per la Chiesa sarà riuscire a espellere le tossine non cattoliche che da un punto di vista dottrinale ha accumulato durante il Novecento.
Che ne è oggi del cattolicesimo nella “sua” Brianza?
Purtroppo il mondo dei ‘paolotti’ è finito. Le cause? E’ come se una generazione fosse “saltata”, cioè non fosse riuscita a trasmettere con la testimonianza e le parole la fede in Gesù Salvatore. I giovani, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, hanno studiato di più dei loro vecchi, e hanno cominciato ad “abbeverarsi” alla cultura perlopiù anticristiana propugnata dalla tv e dalla scuola. La famiglia si è lasciata espropriare del suo compito educativo: qualche volta mi capita di passare dalla piazza della mia Besana, e li vedo e sento i giovani che la frequentano: non sono più i nostri ragazzi…
Vince dunque il “pensiero debole”, la negazione di ogni verità forte; sarà questa la filosofia dominante nel nuovo millennio?
Non credo. Il pensiero debole fotografa una situazione di stallo intellettuale: estinte le vecchie ideologie, la cultura anticristiana attende che nasca una nuova visione del mondo alternativa al Vangelo. Al momento non ne esiste alcuna, per cui si tenta di neutralizzare la Verità con una mentalità minimalista, nichilista, che affoga la ragione umana nel relativismo. Il demonio continua a operare, instancabile. Una civiltà quasi narcotizzata che verrà bruscamente risvegliata da alcune emergenze che a mio parere si profilano all’orizzonte: in particolare, il conflitto tra mondo islamico e occidente, che lascia presagire cose poco allegre.
E per quanto riguarda i rapporti tra il Nord e il Sud del pianeta?
Prevedo che progressive ondate di benessere, faticosamente ma inesorabilmente, risolveranno il problema della fame nel mondo, delle carestie, delle povertà endemiche di alcune regioni. Quando tutto ciò sarà accaduto, ci accorgeremo che i veri problemi dell’uomo, le sue domande e le sue inquietudini, non saranno nemmeno scalfiti. La povertà non è il più grave problema del mondo, come invece ha fatto credere certa avventata teologia del Novecento. Il vero problema resterà sempre, come ci insegna la Chiesa, il peccato, e la speranza per l’uomo che qualcosa o Qualcuno possa perdonarlo. Con questa realtà l’uomo di tutti i tempi dovrà fare i conti: per questo Gesù di Nazaret resta il centro della storia e della creazione.
(a cura di Mario Palmaro, 03/08/00, Il Cittadino)