Il matrimonio secondo Eugenio Corti
A quattro anni dalla scomparsa del grande scrittore Eugenio Corti, rileggiamo alcune pagine del romanzo ll cavallo rosso”: quando Ambrogio e Colomba si rivedono dopo anni, entrambi sposati…
“Ma io vi dico: se uno guarda con desiderio una donna ha già commesso peccato con lei”.
“Io vi dico”, altro che il chiacchiericcio dei teologi del momento, i quali “purché ci sia l’amore” giustificavano qualsiasi cosa». Una verità elementare, di cui Ambrogio Riva riscopre l’innegabile umanità in un momento di tentazione, mentre tutto – in lui e intorno a lui (persino nella Chiesa) – sembra dire il contrario.
L’incontro
Ambrogio è uno dei tre protagonisti maschili del romanzo capolavoro di Eugenio Corti, Il cavallo rosso. Nell’agosto 1968, ormai maturo industriale, padre di famiglia sposato con l’inconsistente Fanny, rivede Colomba, la ragazza amata in gioventù, vedova da tempo e madre di due figli ormai grandi. A lei aveva rinunciato – «Che cose incredibili si fanno da ragazzi!» – per non far torto alla memoria del cugino Manno, all’epoca suo fidanzato, morto durante la seconda guerra mondiale. Pur di non mancare di fedeltà alla propria moglie neppure col pensiero, l’imprenditore si era tenuto lontano da Colomba per vent’anni, ma si sente ormai abbastanza maturo per farle visita. L’incontro, narrato in un ampio episodio, si intreccia alle riflessioni di Ambrogio sulla crisi nei rapporti di lavoro e nelle relazioni sociali; alla sua voglia di lasciar perdere tutto, però, subentra immediato il senso del dovere:
«No. Ci deve pur essere qualcuno che faccia fronte, perché le cose non potranno andare sempre avanti così: la gente dovrà per forza tornare a ragionare un giorno…».
Nella sua prospettiva il guasto, così come la possibilità di recupero, inizia sempre dalla libertà individuale. E Ambrogio, cresciuto nella cultura cattolica popolare della Brianza del secolo scorso, è uno che fa la propria parte fino in fondo nella battaglia del vivere. Sempre. Anche quando, deluso ancora una volta dalla propria moglie, non più bella e assai mutata dal tempo del fidanzamento, ritrova in modo inatteso Colomba. Al contrario degli occhi verdi di Fanny, che il tempo rende «duri, e sopratutto alieni» svelando una donna incompatibile con il mondo di Ambrogio e del suo autore, gli occhi grigio-azzurri di Colomba restano emblema di una bellezza intatta negli anni. Il suo fascino è ancora più attraente di quello che aveva da ragazza, al punto che il pur posato Ambrogio non trova le parole per descriverla.
Resistere alla tentazione In contrasto con il conformismo di Fanny, rimasta «rassegnatamente fedele» al marito pur senza ragioni sostanziali, il narratore scava sulla pagina la battaglia interiore di Ambrogio, che deve fronteggiare emozioni violente e inconsuete. Il senso del dovere vissuto fin da ragazzo costituisce la stoffa di un personaggio che, pur nel dramma di un matrimonio non felice, ricorda di avere liberamente scelto la propria moglie e le resta fedele anche quando l’incontro con la donna dalla quale era attratto da ragazzo scombina le carte.
E’ lo scrittore stesso a togliere di mezzo l’equivoco che confina l’assoluta fedeltà alle pagine dei libri: la vicenda non è un’invenzione letteraria ma a carattere rigorosamente autobiografico (si veda l’ultimo paragrafo dell’articolo).
Il registro stilistico del racconto, in un crescendo di intensità, rappresenta con inquieto realismo i tratti di una sensualità quasi tangibile nell’emozione di Ambrogio, che non sa spiegarsi il crescente turbamento nel viaggio verso la casa di Colomba né il proprio guidare come un pazzo per raggiungerla né le fantasie su di lei. Corti non nasconde dietro falsi pudori la descrizione di un’esperienza vissuta in prima persona né censura nel moralismo un’attrazione che, come i due personaggi si confidano, supera il tempo. Ma proprio nel rapporto tra le scelte umane e il tempo sta la radice della moralità. Nella percezione di Ambrogio, la presenza fisica e la corrispondenza affettiva della splendida Colomba annullano i vent’anni passati: si comporta e ragiona “proprio come un ragazzo” ma, ricondotto dalla realtà nella prospettiva dell’adulto, considera con sgomento: «Io la mia vita me la sono ormai giocata!».
La rinnovata passione per Colomba attraversa lo struggimento di chi, sentendo di aver perso l’occasione per vivere una vita felice, vagheggia la possibilità di unirsi alla donna che risponde al desiderio del suo cuore.
La voce di Dio
Nel pensiero di Ambrogio tornano come sirene gli inviti ad accogliere la nuova dottrina della comprensione e dell’indulgenza: «Dio non avrà per caso voluto indicarmi che devo essere meno rigido di come sono abitualmente? I tempi cambiano, la sensibilità si trasforma… è forse un invito ad adeguarmi? A volte, in effetti, sento che sarebbe mio dovere correggere la rigida impostazione mentale che ho… Dio è longanime, abbiamo un Signore buono, infinitamente buono con noi anche mentre sbagliamo». In questa drammatica battaglia, emozioni e ragione si trovano a fare i conti con la realtà: la voce di Dio fa piazza pulita di ogni presunta giustificazione, con quel “Ma io vi dico…” che resta nel tempo. A confermarlo si impone su ogni ragionamento l’esempio di testimoni autentici: «E poi bastava pensare al vecchio don Mario [Cazzaniga] che ora faceva il cappellano nell’ospedale di Monza, e a don Carlo Gnocchi quand’era vivo, ai preti veri, che parlavano lo stesso, identico linguaggio da duemila anni: erano loro i portavoce di Dio, non questi preti permissivi d’adesso». Significativa la scelta di due uomini realmente esistiti e amici di Eugenio Corti come riferimento del criterio morale: a frenare il cedimento di Ambrogio è la vita di due sacerdoti che, ripetendo la parola di Dio senza conformarsi ai capricci del mondo, lo riconducono alla verità del proprio essere. Vale a dire, a quella considerazione elementare con cui il personaggio si spiega le ragioni della fedeltà: «Gli uomini non possono vivere alla maniera delle bestie, questo era evidente, e la nuova morale, di cui si parlava, semplicemente non era una morale». Ma la pure più umana via della fedeltà lascia tutta intera la desolazione: se Ambrogio rinuncia per la seconda volta a Colomba, non trova però una risposta alla domanda su quella sorte apparentemente ingiusta che lo aveva portato a non sceglierla da giovane. Con la ragione l’autore individua nella dimensione psicologica di quest’uomo maturo e di molti suoi coetanei una «ribellione alla propria decadenza incipiente, al lento disfacimento che anticipa in ciascuno, mentre è ancora vivo, la tomba».
Battersi per il Cielo
Nella realtà e nella pagina di Corti, però, non c’è spiegazione che elimini il dramma del vivere: tornato a casa, Ambrogio deve lottare con «la fantasia che gli prospettava come avrebbe trascorse queste ore se le avesse passate con Colomba» e, «cristiano a metà (come tutti noi cristiani siamo)”, tenta di aiutarsi con la preghiera, vale a dire scrutando nel proprio presente la dimensione dell’eterno. Questa sua uscita dalla scena del romanzo è segnata da una notte insonne – «cosa che non gli capitava dal lontano tempo della guerra» – e anticipa la notte pure insonne su cui si chiude Il cavallo rosso. Protagonista della pagina conclusiva è la coppia Alma-Michele, incarnazione dell’amore ideale (seppur segnato dall’imperfezione di ogni umana vicenda): l’angelo custode di Michele, lo scrittore che porta nel nome la missione dell’arcangelo guerriero, accompagna Alma nell’eternità, ma poi deve tornare al proprio posto di combattimento “nel tragico mondo degli uomini”. Perché quel “Ma io vi dico” è pegno di vittoria, Ma finché si è nel tempo, sempre di guerra si tratta.
Dalla vita alla pagina
Il personaggio di Colomba riprende le caratteristiche di una persona reale conosciuta da Corti in gioventù. Ricordava lo scrittore: «Non l’ho più cercata (precisamente come il personaggio di Ambrogio nel Cavallo rosso non ha cercato Colomba), perché seguitava a piacermi molto, e non sarebbe stato onesto verso mia moglie. Dopo vent’anni mi sembrava di essere abbastanza maturato e mi sono fatto vivo con un biglietto di auguri, in seguito al quale sono andato a trovarla in montagna (a Santa Maria Maggiore, in Val Vigezzo). Quando l’ho rivista, lei aveva ormai quarant’anni, ma… Quell’incontro – è raccontato come in un diario (con qualche modifica solo per quanto riguarda l’ambiente) nell’episodio di Ambrogio che ritrova Colomba, nella parte finale del Cavallo rosso: l’impressione che mi ha fatto, le nostre parole, la sua passione: per il tennis, persino i discorsi di suo figlio sul motorino scassato. E la villa in muratura e tronchi d’abete…». (da Paola Scaglione, Parole scolpite. I giorni e l’opera di Eugenio Corti, pp. 107-108)
(Paola Scaglione, febbraio 2018, Il Timone)