Un’intervista rilasciata nel 1993 in Lituania
Riportiamo un’intervista rilasciata da Eugenio Corti nel 1993 in Lituania, in occasione della pubblicazione della traduzione de Il cavallo rosso.
Il prosatore, drammaturgo e pubblicista italiano Eugenio Corti, la prima parte (“Sul fronte orientale”) della cui trilogia “Il cavallo rosso” è stata pubblicata recentemente dalla casa editrice “Mintis”, ha fatto visita al traduttore del suo libro Algimantas Vaisnoras. Con l’aiuto del traduttore, lo scrittore e la moglie signora Vanda hanno gentilmente accettato di rispondere ad alcune domande.
Nel suo romanzo Il cavallo rosso vi sono episodi di guerra che hanno luogo in Lituania. I suoi rapporti con il nostro paese sono di vecchia data: come e quando sono iniziati?
Si può dire, dal 1940. Il destino mi ha fatto incontrare con Agota Sidlauskaite, studentessa dell’Universit di Kaunas. A causa dell’occupazione russa fu costretta a fuggire dalla Lituania. Giunse in Italia, a Milano. Più tardi diventò una buona specialista di psicologia, e per più di vent’anni insegnò all’Università di Ottawa, Canada. Era una mia buona amica. Mi raccontò molto e a fondo della Lituania. Più tardi ho scritto alcuni articoli sulla situazione della Chiesa cattolica in Lituania.
Che cosa ha indotto lei, giurista di professione, a mettersi a scrivere?
Quando ero ancora un ragazzo di 10-12 anni, sognavo di diventare uno scrittore. Ho frequentato una scuola di profilo classico, che mi ha permesso anche di conoscere la letteratura greca. Mi orientavo bene anche nel campo della filosofia. Mi iscrissi alla facoltà di legge perché ritenevo che ciò mi avrebbe aiutato ad acquisire conoscenze più larghe, a conoscere in maniera più completa la vita. Purtroppo compresi in fretta che la giurisprudenza non mi interessava: oggetto dei miei interessi era la filosofia del diritto, non il diritto stesso. Ho studiato a fondo anche la storia del diritto romano. Tuttavia, malgrado ciò, decisi comunque di terminare i miei studi in questa facoltà. Ritornato dal servizio militare, così feci. Più tardi non ebbi alcun rapporto con il diritto, non esercitai mai la professione del giurista. Conosco la terminologia: tuttavia, quando io stesso ho problemi di carattere legali mi rivolgo ad un avvocato.
Potrebbe raccontare brevemente della sua produzione letteraria?
La mia opera più importante è la trilogia Il cavallo rosso, alla quale ho lavorato undici anni. Ho pubblicato novelle, raccolte di articoli, drammi. Uno di essi – Processo e morte di Stalin – venne tradotto in russo e pubblicato illegalmente in Unione Sovietica.
La guerra è un tema importante del romanzo. Ciò si spiega perché lei stesso ha fatto la guerra o per ragioni di altro tipo?
Una tale scelta, senza dubbio, è stata condizionata dall’esperienza. Volevo far conoscere il destino di una generazione. L’opera è abbastanza grande (1.270 pagine) e comprende il periodo dal 1940 al 1974. Qui si parla della guerra, delle difficoltà del dopoguerra, e più tardi della grande crisi delle abitudini e delle tradizioni. Ho cercato di sintetizzare i problemi della gioventù di questo secolo. Mentre ancora scrivevo l’opera, un noto critico italiano disse che questo romanzo avrebbe dovuto essere un poema, dramma e narrazione storica. A dire il vero, ho mirato ad una simbiosi di generi diversi. Il romanzo in genere, a mio parere, è un poema antico modernizzato. Non è una semplice prosa giornalistica, benché io abbia cercato di documentare con esattezza le vicende dell’opera. Per il romanzo la cosa più importante è l’armonia. Vi sono frasi che ho riscritto una quarantina di volte. Ogni parola, ogni frase deve essere l’unica possibile in quel contesto. Così non è impresa facile tradurre la mia opera. Malgrado ciò, Il cavallo rosso è già stato tradotto in tutte le lingue più importanti.
Che cosa ne pensa la signora Vanda dell’attività letteraria del marito?
[risponde Vanda Corti] Poiché ho compiuto studi umanistici, la letteratura mi è molto vicina. Sono la prima lettrice delle opere di mio marito, a volte anche la sua consigliera.
Lo scrittore ha raccontato che la moglie lesse Il cavallo rosso quando ancora non era finito. Durante la guerra scrisse un diario che la moglie pure lesse. Un episodio, portato dal diario nel romanzo, le sembrò scritto non sufficientemente bene. Lo scrittore le permise di apportare correzioni. Si tratta della pagina sulla farfalla, che a giudizio di Corti è la pagina migliore del romanzo.
L’episodio si segnala per il lirismo e la poeticizzazione della natura, anche se nel romanzo dominano i toni tragici, drammatici. Non evito il senso dell’umorismo moderno. A me è particolarmente vicina la narrazione epica; mi piace molto anche Ovidio.
Abbiamo sentito dire che sulla base de Il cavallo rosso sarà fatto un film.
Sarà un serial televisivo in dodici puntate. Abbiamo già firmato il contratto. Tuttavia ora la televisione italiana sta attraversando un momento difficile, e per questo ancora non si sa chi sarà il regista e quali saranno gli attori. Si pensava di filmare gli episodi di guerra nel territorio della ex Jugoslavia. Tuttavia le scene di guerra possono essere anche molto costose: i produttori sono preoccupati per questo fatto e si pensa di utilizzare anche scene di documentari. A me è piaciuta molto la natura della Lituania; per questo motivo proporrò che gli episodi lituani vengano filmati qui.
Che cosa sta scrivendo ora? Quali progetti ha?
Mi interesso di storia. Ho fatto un viaggio in Sud America, mi è venuta l’idea di scrivere sul Paraguay. Ho trovato qui una realtà che non è esistita da nessun altra parte. Ora sto scrivendo uno sceneggiato per la televisione, le sue vicende hanno luogo nei secoli XVI-XVII nelle foreste del Paraguay. Voglio scrivere ancora dell’Italia nel periodo anteriore alla nascita di Cristo. Dovrebbe trattarsi di un grande lavoro: vedo la storia come punto d’appoggio della cultura nazionale, e la nostra cultura subisce l’azione livellatrice di una cultura modernizzata che arriva dal di fuori; si sente in particolare l’influsso della cultura americana. Un tempo, la cultura greca fu vinta da quella romana: ora comprendiamo che senza la cultura greca non ci sarebbe stata alcuna cultura. Ciò significa che dobbiamo difendere la nostra cultura.
(Paulina Zemgulyte, 04/09/93, Literatura ir menas)