La fede del giovane Corti
Nelle lettere giovanili del popolare scrittore emerge la profondità spirituale che esploderà nelle sue opere: una fede capace di illuminare la realtà e la consapevolezza di essere con il suo talento artistico uno strumento nelle mani di un Altro
È il 17 febbraio 1941 quando Eugenio Corti, vent’anni compiuti da meno di un mese, matricola di Giurisprudenza all’Università cattolica di Milano, registra sul proprio diario una notizia destinata a segnare la sua vita: gli studenti del 1921 sono stati chiamati alle armi. Il 10 giugno 1940 l’Italia è entrata in guerra e la necessità di formare ufficiali incalza: il futuro scrittore e i suoi compagni dovranno lasciare le aule per andare a combattere. La propensione alla riflessione e l’abitudine di Corti a prender nota delle proprie esperienze e dei propri pensieri fin da giovanissimo hanno affidato al suo archivio appunti preziosi per inquadrarne la figura. Già a diciotto anni la sua personalità si rivela fondata su una ragione lucida e aperta, illuminata da una fede vissuta nella concretezza delle vicende quotidiane. Così, in una pagina di diario, delinea l’orientamento che lo avrebbe accompagnato per tutti i suoi giorni: «Voglio abituare il mio pensiero anzitutto a vedere sempre chiaramente il suo scopo: la Religione; poi tutto deve essere fatto e ordinato (la Religione compresa) secondo il raziocinio: il raziocinio è la parte più importante della mente umana».
La fede illumina la ragione
Per questo la prospettiva di andare in guerra non lo getta nello sconforto; fedele alle proprie scelte, analizza razionalmente questo evento alla luce della fede, valutandone gli esiti «anzitutto riguardo a quello che è lo scopo massimo mio, come quello d’ogni cristiano, meglio: d’ogni uomo: la salute eterna». Da questo punto di vista ritiene che, superando i rischi che avrebbe corso con l’aiuto di Dio, ne avrebbe avuto meriti maggiori; l’esperienza, poi, avrebbe messo alla prova la sua intelligenza e la sua formazione spirituale: «Nient’altro che intensificazione della vita», conclude quindi. Al cuore della sua riflessione c’è però la grande opera a cui da sempre si sente chiamato: «Glorificazione di Dio per quanto sta in me». Annota a questo proposito: «Sotto questo punto di vista grande è il vantaggio che la vita sotto le armi, e, eventualmente in guerra, mi può dare. E in rapporto al vantaggio, misero è lo svantaggio che la perdita di tempo per la preparazione mi può recare»
“Voglio la verità”
Non ignora certo il dolore che la sua chiamata in momento tanto triste e pericoloso avrebbe recato ai suoi cari ma, cosciente della positività del vivere anche quando il cammino si fa difficile, ritiene quell’esperienza fondamentale per uno scrittore che, nella sua prospettiva artistica, deve andare al cuore della realtà e raccontarla. Giovane saldamente radicato nella fede, riflessivo e vivace, amante della lettura e della campagna, sensibile all’arte, insofferente perché il collegio milanese in cui i genitori lo mandano a studiare lo priva della libertà e del verde della sua Brianza, Eugenio è un ragazzo che si preoccupa per l’interrogazione di matematica e sogna le vacanze scolastiche, che si accalora giocando a calcio con i compagni e, al tempo stesso, cerca instancabilmente di comprendere come far fruttare i propri talenti. «Io non posso tirare avanti senza ideali grandi e ben stabiliti», considera riflettendo sul fatto che i giorni dell’uomo sono una preparazione all’eternità. E ancora: «Voglio raggiungere la verità in tutto quello che mi sarà possibile». A lungo, durante gli anni del liceo, si domanda se sia chiamato all’esperienza missionaria o a quella dell’amore sponsale. Quando decide per quest’ultima, attesa e vagheggiata in un’assoluta purezza di pensiero e di comportamento, si anima di un desiderio grande: «Io ricomincerò a sognare la fanciulla che dovrà un giorno essere la compagna della mia vita, comincerò a preparare per lei tutto un immenso patrimonio d’amore».
Ogni sua scelta esistenziale, però, è orientata a quell’ineludibile vocazione di scrittore che si configura come scopo del suo essere al mondo. Lo avverte con umile certezza: «Negarlo per me sarebbe come negare l’esistenza di una cosa materiale che si trova a me davanti». Quando la seconda guerra mondiale inizia a scuotere l’Europa, Eugenio frequenta l’ultimo anno del liceo: non ha spirito bellicista, è profondamente antifascista e contrario alle ragioni che indurranno il regime italiano a prender parte al conflitto; allo stesso modo, ritiene il comunismo realizzato in Russia un’ideologia distruttiva dell’uomo. Però sente che quell’esperienza, pur dolorosissima, potrà costituire il banco di prova della sua vocazione: «Anche se ci troviamo in tempi burrascosi, io non temo, anche se verrà la guerra non temo. Se io morrò vorrà dire che il Signore non aveva disegni speciali su di me, e non mi deve rincrescere: sarà per il mio meglio. Ma se per qualche cosa di maggiore io sono venuto al mondo saprà bene Dio tenere da me lontani i pericoli d’ogni genere».
La mano della Provvidenza
La consapevolezza che si sarebbe salvato perché strumento di Dio chiamato a una grande opera letteraria si consolida al fronte russo e durante la tremenda ritirata, dalla quale esce miracolosamente illeso. Corti ne parlava, con estrema e quotidiana naturalezza, come di interventi straordinari della Provvidenza, una presenza in cui ha sempre confidato e che ha avvertito intensamente durante i suoi lunghi anni. Particolarmente significativo è un episodio accaduto il giorno del suo ventunesimo compleanno, che segnava allora il raggiungimento della maggiore età. Eugenio frequenta il corso per allievi ufficiali; durante un’esercitazione al campo si distacca dai compagni ed entra in una piccola chiesa, in cui si trovano due sole statue: «San Giorgio, il Santo guerriero, e San Rocco, il santo Pellegrino». Abituato a indagare la realtà oltre l’apparenza, il giovane coglie in questo un segno: «Quel mattino, camminando sui campi striati dalla brina avevo fatto una solenne promessa a me stesso: scopo della mia vita sarà di rendere gloria a Dio con qualche grande opera di poesia. La Provvidenza mi indicava forse le strade per le quali sarei dovuto passare per raggiungere questo scopo: la guerra e un lungo peregrinare». L’intenso cammino della sua esistenza, sui campi di guerra e nella quotidiana battaglia per la verità, gli avrebbe dato ragione.
(Paola Scaglione, giugno 2016, Il Timone)