Eugenio Corti, nemico del conformismo
La vita come milizia. Così appare la vita di Eugenio Corti, il più amato degli scrittori cattolici viventi (sondaggio del 1995) nella sua biografia I giorni di uno scrittore – incontro con Eugenio Corti, scritta da Paola Scaglione per i tipi di Maurizio Minchella di Milano.
Stile di vita
Ed è veramente strano incontrare in pieno XX secolo un uomo che vive la sua avventura sulla terra come la vivevano i Cavalieri medievali o i grandi Santi dei primi secoli. Esagerato? No, tale stile di vita emerge dalle opere di Corti, sia di narrativa (Il cavallo rosso; I più non ritornano) che di saggistica (L’esperimento comunista; Il fumo nel tempio), e forse ancor più dalle parole che ha confidato alla sua biografa Paola Scaglione.
Sono inequivocabili. Nel rispondere alla domanda se il “successo” che gli è stato negato dalla grande editoria e dalla grande stampa di intonazione laicista e marxista gli abbia lasciato qualche rimpianto, pronto risponde: “No. Del resto ‘successo’ è una parola che non appartiene al mio vocabolario, non fa parte del mio modo di vedere le cose: quello che conta è essere dalla parte della verità, che poi significa essere dalla parte giusta nella battaglia tra il Bene e il male…
Non sono stanco né angosciato. Penso che siamo in guerra (“Militia est via hominum”): in un dato momento però possono prevalere gli avversari, poi verrà di nuovo il nostro momento, nell’alternarsi delle due città di cui parla Sant’Agostino… e in ogni caso il dovere del soldato è combattere”. E ancora: “Quando si arriva a una certa età (Corti è del 1921, ndr) si pensa alla frase che si vorrebbe sulla propria tomba… per la mia tomba avrei chiesto questa frase: “Ha combattuto per il Regno”. Sono conscio di non aver combattuto bene. Però è fuori discussione che ho combattuto”.
E proprio il fatto di aver combattuto contro il male, quindi contro il marxismo e il laicismo, ha portato questo narratore, tale è principalmente Corti, ad essere emarginato dalla grande editoria e dalla grande stampa, tutta in mano ai suoi avversari. Tanto per fare un esempio, il libro più venduto di Corti è il primo, I più non ritornano, sulla ritirata di Russia.
Pubblicato dalla Garzanti, fu per anni in testa alle vendite della casa; ciononostante, quando Corti pubblicò la tragedia Processo e morte di Stalin, lucida condanna del comunismo, Garzanti smise di ristampare la prima opera di Corti. A tanto può portare la faziosità ideologica. Ciononostante, Corti ha venduto circa 200 mila copie di libri. Ed è diventato il più amato tra gli scrittori cattolici contemporanei. Una sorta di Vittorio Messori della narrativa. Molto amato dai lettori, riceve quotidianamente moltissime lettere di lodi e di complimenti.
Anticomunismo
Ma perché Corti odia tanto il marxismo? Perché lo ha conosciuto di persona. Nel 1942, su sua espressa richiesta, fu inviato sul fronte russo, giovane tenente di artiglieria. Andò là per poter conoscere da vicino quel mostruoso tentativo di costruire una società senza Dio, anzi, contro Dio, prima che i Tedeschi la distruggessero. E la poté conoscere, girando di villaggio in villaggio nei tempi morti per vedere e interrogare. Il racconto delle stragi e della carestia derivata dal massacro dei kulaki (contadini) lo sconvolse. Tornato in Italia, dopo aver completato i propri obblighi militari, incominciò a studiare il comunismo.
Solo dopo oltre 10 anni di studio, pubblicò la sua seconda opera, di dura condanna del comunismo, Processo e morte di Stalin, appunto. E qui iniziò il boicottaggio nei suoi confronti da parte della cultura dominante. E come poteva essere altrimenti per un autore che denunciava con precisione i massacri comunisti (200 milioni di morti! cfr. L’esperimento comunista, Ares, 1991) e, non pago, affermava che la realizzazione del comunismo avrebbe comportato lo sterminio di tutti gli esseri umani tranne uno, il capo?
“Vita est militia…” e Corti ha saputo davvero combattere la “buona battaglia”, battaglia che Paola Scaglione ha reso molto bene nella sua biografia. In essa tra l’altro si possono scoprire i modelli letterari a cui si è ispirato lo scrittore brianzolo (rectius, brianteo). Omero, innanzitutto. Poi, san Francesco e Jacopone da Todi; ma anche Tolstoj e Manzoni. Ed in effetti nelle pagine di Corti si scorgono, in controluce, i suoi modelli letterari. Soprattutto Omero e Manzoni. Il primo come sapiente cantore della guerra e delle sue tragedie; il secondo per la sua attenzione verso gli umili, verso la “gente comune”.
Così, dalle opere di Corti emerge quella commistione tra Bene e Bello che lui si è sempre prefissato di raggiungere. Scrive la Scaglione, riportando il pensiero del narratore: “A volte mi succede di paragonare i miei scritti agli archi romani; opere tutto considerato piuttosto singolari, consistenti in due sole colonne che in alto si fondono tra loro… le mie due colonne sono – o almeno io cerco che siano – la verità e la bellezza.
Una delle soddisfazioni maggiori, nello scrivere, la provo quando riesco ad afferrare la verità e a renderla compiutamente, con forza. Per presentarla agli altri, però, è indispensabile anche la bellezza; ogni pagina deve incantare, affascinare.
Il cavallo rosso
Cosa che a Corti è riuscita più compiutamente in quello che è considerato il suo capolavoro, Il cavallo rosso, ponderosa saga delle vicissitudini di questo secolo. E, appunto nella biografia, si possono scoprire molte cose interessanti, oltre che su Corti, nelle sue opere, a partire da Il cavallo rosso. Finendo, naturalmente con la prossima opera, che dovrebbe uscire tra qualche mese sulle avventure degli indios Guaranì, ma sì, quelli le cui vicende furono così sapientemente falsificate in Mission, il film con R. De Niro.
E di cui proprio “Il secolo” si occupò, per cercare di fare un po’ di luce, nell’ormai lontano settembre 1992.
(Augusto Truzzi, 26/09/97, Il Secolo)