Le figure femminili nel Cavallo rosso di Eugenio Corti

Il cavallo rossoLa critica ha definito Eugenio Corti «scrittore visuale» ed effettivamente le capacità descrittive, e la resa icastica che ne consegue, sono forse il pregio maggiore del romanziere. Così le figure femminili delineate nel Cavallo rosso, appartenenti ad ambienti e mondi diversi e di ogni età, appaiono con nettezza ed evidenza all’immaginazione del lettore: per lo più viste e contemplate dagli uomini, e quindi da uno sguardo esterno, appaiono «il tu di un io», indecifrabili in quanto alterità irriducibile.

Prevalentemente, le figure femminili sono compagne e madri o sorelle; la presenza quantitativamente più rilevante è quella delle donne dei tre personaggi principali: Alma, Colomba e Fanny, compagne rispettive di Michele, Manno e Ambrogio. Le donne – questa alterità irriducibile e al tempo stesso insostituibile – «costituiscono la metà del mondo che ci manca di cui abbiamo bisogno perché ci completa» afferma Corti nei I giorni di uno scrittore. L’eredità biblica – «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2, 18) – traspare interstestualmente nel romanzo attraverso la citazione di Genesi 2, 24 «Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre sua […] e seguirà la donna sua» (Il cavallo rosso, p. 74). L’idea cristiana secondo cui l’amore matrimoniale è comunione con l’alterità e esigenza di dialogicità determina la concezione cortiana della donna. L’amore tra uomo e donna è «un dono sbalorditivo di Dio» (p. 640)-

Ma entriamo più nel dettaglio. Il comune denominatore delle figure di donne-compagne è la bellezza fisica, particolarmente esaltata nella narrativa cortiana. Le donne, incarnazione della bellezza, sono parte della creazione, avvicinate metaforicamente ad altri elementi animali e vegetali (pianticella di lauro, colomba, gattino di marmo, tigretta, agnelletta). L’onomastica delle tre compagne Epifania (alias Fanny), Colomba (simbolo dello Spirito Santo), e Alma rivela la loro natura di emanazione divina. Non a caso la figura femminile è ripetutamente definita «creatura perfetta», «capolavoro di Dio»; come nella tradizione cortese a cui Corti si rifà esplicitamente, la donna è posta «al culmine dell’intero creato, inferiore soltanto a Dio» (cfr Storia di Angelina, p. 52).

Che l’uomo debba rendere grazie a Dio per aver creato la donna affinché sia al suo fianco è più volte ribadito dall’Autore. Per esempio, Michele esprime questo concetto con la citazione di versi tratti dal Jaufré Rudel di Carducci: «Signor che volesti creare per me questo amore lontano…». Questa menzione indiretta all’elegia di Jaufré Rudel consente di rimandare alla tradizione dell’Amor de lonh, densa, come afferma Jean Leclercq, di immagini e di espressioni trasferibili al livello delle relazioni spirituali che ogni essere umano può avere con Dio e con Cristo.

La femminilità riveste quindi in Corti una duplice, inscindibile funzione: una corporea e terrena («[…] poiché sono creature terrene mi affascina molto, probabilmente troppo, la loro bellezza terrena» dichiara lo scrittore) – mai ridotta però alla sola materialità – e una idealizzata mediatrice della trascendenza. Le donne sono al contempo emanazioni divine di cui l’uomo fruisce sulla terra e guida verso Dio. Come nella tradizione stilnovistica, la donna ha la funzione di indirizzare l’animo dell’uomo verso la sua nobilitazione: quella dell’Amore assoluto identificabile con l’immagine della purezza di Dio. Così Alma come la Beatrice dantesca dev’essere cantata da Michele e Colomba è definita da Manno «sorella di Beatrice». Le muse di Michele e Manno intrattengono così una parentela ideale con quella Beatrice che Corti definisce «la donna che induce a pensieri elevati» (I giorni di uno scrittore, p. 107). «Al livello più alto mi incanta la capacità [delle donnne], direi istituzionale, di fare da ponte tra noi e la trascendenza», sostiene ancora il romanziere. Una figura minore ma altamente significativa, la brutta e umile operaia detta Marietta delle spole che Alma incontra per prima in paradiso, mostra però come questa dimensione «ponte» non sia strettamente connessa alla bellezza, ma alla femminilità. Nondimeno l’importanza della corporeità della donna in quanto compagna terrena permane: certamente in Corti c’è un legame tra l’aspirazione amorosa terrena e quella divina, ma non si può parlare in nessun caso di sublimazione.

Il valore delle compagne dei protagonisti, segno della concezione della femminilità dell’Autore, si costituisce anche attraverso la relazione tra di loro. Vi è nel Cavallo rosso un sistema di complementarietà/opposizione tra queste donne, che ricalca uno schema già presente negli Ultimi soldati del re: le compagne sono tre, due positive e una negativa. La negativa è esplicitamente, nel romanzo anteriore, colei che seduce e tenta, «figlia di Eva». Nel capolavoro la negatività è più sfumata ma non meno presente attraverso la figura dell’ambigua e poco intelligibile Fanny. Al contrario, Colomba e Alma, compagne positive, sono presentate come donne reali che tuttavia oscillano tra mito e realtà (a proposito di Colomba, Manno ammette di aver costruito una creatura «sintesi della realtà e del sogno», p. 535). La loro idealità trascende la contingenza del mondo fattuale. Colomba, liberamente ispirata dall’amore vagheggiato in giovinezza da Corti, Margherita, risulta una donna bellissima e coraggiosa; dal punto di vista spirituale è però poco caratterizzata. E soprattutto nella struttura del romanzo non è la compagna perfetta in quanto non diventa, di fatto, la compagna di nessuno dei due personaggi innamorati di lei, Manno e Ambrogio.

Corti ha ben chiaro, infatti, che nessun rapporto affettivo, benché corrisposto e realizzato, può garantire quaggiù la felicità. Perfino Alma, moglie del personaggio principale Michele alter ego dell’Autore, elaborazione romanzesca della Donna, non sovrapposizione di una persona extrareferenziale ma fusione di caratteristiche di varie donne realmente conosciute (in particolare la moglie reale dello scrittore e la sorella più credente), benché sia l’unica a rispondere alle aspettative del compagno, non può renderlo pienamente felice, poiché la vita terrena frappone inevitabilmente degli ostacoli al raggiungimento della piena felicità (così la diegesi presenta un matrimonio che non sfocia nella procreazione e la morte prematura di Alma). L’amore umano rimane pur tuttavia «una sorta d’anticipo del paradiso», (p. 1190), poiché nell’ambito della Rivelazione cristiana, come sostiene Teodorico Moretti-Costanzi in La donna angelicata e il senso della femminilità nel cristianesimo, il rapporto tra l’uomo e la donna ritrova la dimensione della concretezza edenica, ma compiuta e potenziata nell’amore di Cristo, che ne costituisce la sorgente e il criterio. Infatti Alma corrisponde nella strategia dell’autore alla figura letteraria della donna angelicata, che fa parte del suo bagaglio scolastico: «Al liceo era stata fortissima l’impressione quando avevo incontrato le donne dipinte dai pittori o cantate dai poeti del Medioevo. Ho sentito molto vicine le donne angelicate; era un modo di intendere la donna di cui prima non avevo la minima idea ma che, una volta conosciuto, ho fatto mio: non potrò mai staccarmene» (I giorni di uno scrittore, p. 106). Numerose le espressioni che rinviano Alma alla sua celestialità: veniva «strappata all’Empireo in cui navigava» (p. 1045); «Ad Alma sembrava di toccare il cielo col dito» (p. 1159); Almina per la sera della prima «s’era fatta un bellissimo abito da sera nuovo, di velo azzurro: il più bell’abito che Michele le avesse mai visto (e che le avrebbe mai visto in seguito); era talmente fiduciosa, che sembrava irradiare luce» (p. 1181) (Il corsivo è nostro).

Proprio a partire da queste considerazioni possiamo stabilire una differenza tra Colomba e Alma. La prima viene definita dallo sguardo di Manno, che ne fa una donna-angelo, ma anche dal desiderio di Ambrogio. Agli occhi di quest’ultimo, personaggio maschile dal carattere simile a Colomba in quanto pragmatico e concreto, essa appare come una donna terrena, più rispondente al modello di Andromaca madre e sposa che a quello di Beatrice. Colomba è la donna forte che affronta le vicissitudini dell’esistenza con coraggio (per l’«ideale […] della donna forte cristiana», vedi p. 1271). Terrena, è legata alla vita: ha dato alla luce dei figli, e non casualmente ha studiato una disciplina legata alla vita, biologia. In Alma la dimensione spirituale prevale invece su quella corporea; benché Michele abbia con lei una relazione sponsale e quindi anche carnale, la sua vera sede è il paradiso e non la terra. Nel sistema delle figure femminili elaborato da Corti le due donne sono complementari.

Benché Alma non generi la vita fisica, il suo nome ricorda che «la proprietà più specifica [delle donne] rimane comunque di essere sorgenti di vita fisica, spirituale, poetica e d’ogni altro genere» (Giorni di uno scrittore, p. 101). Alma pur senza diventare madre aspira a diventarlo. Premura e sollecitudine materna caratterizzano il suo comportamento nei confronti di Michele.

All’insieme di figure femminili positive delineato dallo scrittore va ascritta anche Giulia, trasposizione della madre dello scrittore. Al modo di Maria che è madre di Gesù e di tutti gli uomini, Giulia è considerata madre anche di Manno, in realtà suo nipote. La maternità, infatti, e come si è visto nel caso di Alma, è altresì spirituale. Le donne non hanno ovviamente il monopolio della preghiera; ciò nonostante vi è un «nesso inscindibile» tra madre e preghiera (cf p. 276). Il loro pregare – e la loro profonda fede grazie alla quale per loro «la prima e più vera realtà» non è «quella terrena e visibile, bensì l’altra, quella trascendente» – permette d’instaurare una relazione tra realtà quotidiana e trascendenza. Se preghiera, secondo il Vangelo, è un bussare alla porta dell’aldilà, quella delle madri, soprattutto quando si tratta dei figli in pericolo, «è addirittura un aprire la porta con le unghie» (p. 468). Vi è un evento significativo che colpisce la loro esistenza: la morte del figlio. L’identificazione della sofferenza delle madri con quella della Mater dolorosa è ricorrente: mamm Lusìa ma anche Giulia sono colpite da quest’evento.

Eugenio Corti

Il romanziere elabora insomma un sistema di figure femminili positive composto di madri e di compagne, a cui si oppone la figura di Fanny, segnata dalla negatività. L’intrusione di tale personaggio serve nella strategia dell’autore per condannare il degrado contemporaneo dei rapporti tra coniugi e per evidenziare, mediante una fitta rete di opposizioni, gli attributi caratteristici della donna. Attraverso un disvelamento lento, il sistema di valori di Fanny appare in opposizione al codice culturale dell’autore (Città / campagna; cosmopolitismo / regionalismo). Benché il commento sia raramente esplicito, Fanny viene delineata attraverso la descrizione asciutta del suo agire come una donna dalla vita spirituale superficiale e dal comportamento in disadequazione con la morale cristiana. La sua bellezza tramuta col tempo quasi in bruttezza, poiché il suo fascino apparteneva solo a un corpo bello e non era espressione completa della femminilità.

In contrapposizione a questa figura di donna a cui difettano abnegazione e impegno, si staglia un paradigma della donna che trascende i tempi. Si pensi alle «anziane contadine [russe] ancora cristiane e caritatevoli» (p. 349) o alle suore polacche dell’ospedale di Leopoli. In questa prospettiva, Colomba e Alma incarnano diversi tratti specifici della donna cristiana e i valori di cui è portatrice. Il servire evangelico di Marta (Gv 12, 2), o della suocera di Pietro che, appena guarita, «si alzò e si mise a servirlo» (Mt 8,15), è ricorrente nel Cavallo rosso. Persino la figura di Maria la peccatrice, che, «stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo» (Lc 7, 38), è qui riproposta. Il gesto evangelico del lavare i piedi è presente già nell’incipit del romanzo : «[Pio] avrebbe costretto anche stasera la madre a lavargli i piedi» (p. 9), e ricompare nelle contadine russe che massaggiano i piedi congelati dei soldati italiani (p. 974). All’ospedale di Stresa durante la convalescenza di Ambrogio, sua madre «Giulia sentiva – come sempre nella vita – il bisogno di darsi da fare. Si metteva perciò a riordinare, anche se in realtà […] non ce n’era bisogno. […] Spesso, tolto dalla borsetta un pacchetto di caramelle, andava a deporlo con un sorriso materno sul comodino dell’altro ufficiale ferito […]» (p. 689). Anche Francesca si preoccupa di ricevere in modo adeguato i suoi ospiti.

Le figure femminili positive sono caratterizzate inoltre dal pudore e dalla capacità di custodire i valori. Soffermiamoci ancora su Alma: essa crede indefettibilmente nella capacità di Michele di diventare un grande scrittore e lo aiuta con discrezione. «C’era un fondo pratico, una disposizione all’efficienza nei suoi pensieri» (p. 1018), tanto che rimette ordine nelle giornate di Michele con risolutezza, e lo sprona a proporre i suoi testi a Benedetto Croce.

In questo quadro l’abbigliamento è molto significativo. Il narratore rimpiange il vestito tradizionale delle donne di Nomana, deplora le minigonne degli anni 70 e rimpiange le gonne inverosilmente lunghe della giovane Giulia o la tunica di Colomba. Nel Cavallo rosso ovunque, in Russia come in Sicilia, la donna tradizionale ha il capo coperto: una donna russa che accoglie Ambrogio e Paccoi in un’isba ha la testa coperta da uno scialle nero (p. 347), la madre di Patanè accoglie il figlio «con la pezza nera in testa» (p. 502). La giovane Almina all’inizio dell’Albero della vita ha un «fazzoletto attorno al capo» (p. 883). Ma c’è di più. E’ forse per la memoria di 1 Cor 11,15 («La donna non deve tagliarsi i capelli, perché la chioma le è stata data a guisa di velo» dalla natura stessa) che le figure femminili positive cortiane hanno i capelli lunghi e raccolti. Alma è «molto graziosa, con le trecce che accompagnavano i movimenti del capo» (p. 1052). Francesca ha «la testa circondata dalla grossa treccia castana» (p. 896), Colomba ha i capelli legati a crocchia (p. 639) così come Luisina ha «i capelli castani legati a crocchia» (p. 962). Non è un caso che Tricia e Fanny, figure più ambigue, portino i capelli corti.

Corti non ignora le mutazioni sociologiche avvenute nel secondo 900, ma il suo autentico rispetto per la donna e la femminilità affondano le proprie radici in un’etica precedente alla concezione “femminista” a lui pienamente contemporanea. Ribadendo così la sua capacità e il coraggio intellettuale di andare, come sempre, e indiscutibilmente, controcorrente.

Nota bibliografica
Eugenio Corti, Il cavallo rosso, Ares, Milano, 2014.
Eugenio Corti, Storia di Angelina in Il Medioevo e altri racconti, Ares, Milano, 2008.
Jean Leclercq, La figura della donna nel Medioevo, Jaca Books, Milano, 1994.
Damiano Marzotto, Pietro e Maddalena. Il vangelo corre a due voci, Ancora, Milano, 2010.
Teodorico Moretti-Costanzi, La donna angelicata e il senso della femminilità nel cristianesimo, Armando editore, Roma, 2000.
Paola Scaglione, I giorni di uno scrittore, Incontro con Eugenio Corti, Maurizio Minchella Editore, Milano, 1997.
Dag Tessore, La donna cristiana secondo l’insegnamento della tradizione apostolica, Il leone verde, Torino, 2008.

(Vanina Palmieri, maggio 2016, LineaTempo)