Vanda Corti racconta il marito Eugenio

Eugenio Corti

Una testimonianza straordinaria, un documento che continua a “parlare”, attraverso i decenni, le esperienze, i cambiamenti: sono le lettere che Eugenio Corti, il grande scrittore  scomparso il 4 febbraio 2014, ha scritto e inviato dal fronte russo, durante la guerra, dal 6 giugno 1942 al 29 gennaio 1943. Queste lettere sono state scelte e raccolte in una silloge dal titolo «Io ritornerò» (edita da Ares), presentato qualche giorno fa al Meeting di Rimini.

Il lavoro di scelta e di riedizione lo ha curato la moglie dello scrittore, Vanda Corti, insieme allo scrittore e giornalista Alessandro Rivali. “Chissà cosa ne avrebbe pensato Eugenio, di questo lavoro, lui che era così accurato, meticoloso, nello scrivere e rivedere i suoi testi…”, ci spiega la signora Vanda. Sottolineando così una delle caratteristiche saliente dell’autore de Il cavallo rosso (arrivato alla trentunesima edizione dal 1983), de I più non ritornano (il primo diario pubblicato sulla guerra in Russia, giunto alla diciannovesima edizione) e di un’ampia produzione che comprende Gli ultimi soldati del re, L’isola del Paradiso, Catone l’antico, La terra dell’indio, Il Medioevo e altri racconti, Il fumo nel tempio, Processo e morte di Stalin.

Ma nonostante questo lavoro postumo, non esercitato in prima persona, se il valore documentario è evidente, anche la rilevanza letteraria dei documenti è grandissima, perché l’epistolario è una vera e propria fucina di uno scrittore alla scoperta della propria  vocazione. Così come lo racconta la signora Vanda.

Da molte ripetizioni, accenni personali, Rivali invece ha pensato che fosse giusto pubblicarle così com’erano, a testimonianza di quello che poteva vivere un giovane pieno di ideali, di fede, ma anche di fatica, di timori, una vita quotidiana difficile…E di curiosità, di attenzione per la realtà, qualcosa che dimostra pienamente la sua vocazione di scrittore. Certo bisogna considerare che si tratta di un documento relativo, anche per via della censura che interveniva sulle lettere dei soldati. La guerra, certo, si vede e si percepisce, incombente, ma sullo sfondo”.

E che cosa può comunicare, soprattutto ai giovani, una lettura di questo tipo?

I libri di Corti rappresentano un caso a parte, nel panorama letterario italiano. Molto apprezzati all’estero, soprattutto in Francia, più o meno ignorati dalla critica nostrana…

Ricorda qualche episodio che possa chiarire meglio questo aspetto dello scrittore, la sua coerenza pagata anche in termini di popolarità e diffusione?
“Mi ricordo un episodio indicativo in tal senso, che mi è tornato in mente proprio in questi giorni in cui è scomparso Ettore Bernabei. C’era un progetto di fare uno sceneggiato tratto dal Cavallo rosso, esisteva già una sceneggiatura, era stato scelto già il regista, Sandro Bolchi, ma poi non se ne fece più niente perché erano previsti vistosi cambiamenti rispetto alla trama del romanzo. Eugenio rifiutò di questo lavoro, diceva che la sua opera, il suo pensiero ne sarebbero usciti del tutto stravolti. Io lo spingevo ad accettare perché, dicevo, questo è un modo per farti conoscere, per far conoscere la tua opera. Sì, rispondeva lui, ma se mi conoscono in modo sbagliato, che senso ha? Il tempo ha dato ragione a lui. Era giusto non piegarsi alle regole del mercato e della fama”.

La letteratura è in crisi, così come in generale il sistema dei valori e dell’educazione. Un maestro ha questa missione altissima: quella appunto di educare. C’è speranza che oggi il maestro Eugenio Corti possa essere seguito dai ragazzi? Lei ne avrà incontrati molti anche al Meeting. Sono ancor interessati a leggere qualcosa che li spinga ?
“Ma ancora e sempre il motivo per cui vale la pena di vivere”.

(Caterina Maniaci, 30/08/16, Acistampa)