François Livi e la fortuna di Eugenio Corti in Francia
A due anni dalla scomparsa dello scrittore besanese, abbiamo incontrato François Livi, professore emerito dell’Università Sorbona di Parigi, grande amico di Corti e profondo conoscitore ed estimatore delle sue opere.
Qual è il suo personale ricordo di Eugenio Corti, come uomo e come scrittore?
Ho conosciuto prima lo scrittore, poi l’uomo. Nel 1983, Cesare Cavalleri, il direttore delle Edizioni Ares, mi aveva inviato una copia de Il cavallo rosso, da lui appena pubblicato. La mole del romanzo mi aveva impressionato e anche scoraggiato: dove trovare il tempo per leggerlo? Cominciai a sfogliarlo e il libro, come è accaduto a tanti altri lettori, mi affascinò. Divenne il mio livre de chevet (libro sul comodino, ndr) per i giorni necessari a leggerlo, con sempre maggiore partecipazione. Qualche anno dopo, Vladimir Dimitrijevic, il fondatore e il direttore delle edizioni L’Âge d’Homme, che aveva letto alcuni miei paragrafi su Corti in un manualetto di letteratura, chiese il mio parere sull’opportunità di tradurre Il cavallo rosso in francese. Il mio parere fu assolutamente favorevole e Le chaval rouge uscì nel 1996 con una mia prefazione e postfazione. Ma credo che Vladimir Dimitrijevic, che amava le sfide intellettuali, lo avrebbe pubblicato anche se il mio parere fosse stato sfumato o reticente. In seguito ho tradotto e prefato I più non ritornano e contribuito alla pubblicazione in francese delle altre sue opere.
Ho conosciuto Eugenio Corti qui a Parigi, dopo la pubblicazione di Le cheval rouge, e l’ho rivisto varie volte, sempre a Parigi, in occasione di presentazioni dei suoi libri tradotti in francese, di trasmissioni radiofoniche, di incontri con altri scrittori, di un seminario che lo avevo invitato a tenere alla Sorbona. L’ho anche incontrato a Besana, nel marzo del 2010, per una conversazione diffusa da Brianza Channel TV. In Eugenio Corti mi colpiva soprattutto la coerenza cristiana tra l’uomo e l’artista, l’alta concezione del suo dovere di scrittore, una signorilità e nello stesso tempo una semplicità che incutevano quasi soggezione. Un uomo e uno scrittore assolutamente alieno a mondanità, a patteggiamenti o compromessi di qualsiasi tipo.
Secondo lei qual è l’eredità principale che Eugenio Corti scrittore lascia al mondo della letteratura?
Eugenio Corti è un testimone e un grande scrittore, un abbinamento che è molto difficile ripetere, perché in parte imposto dalle circostanze storiche.
L’eredità che lascia è quella di un profeta che scrive non solo per il presente, ma anche a futura memoria, per le generazioni che verranno. E non mi riferisco soltanto al diario della ritirata di Russia che ho citato, I più non ritornano o al grande romanzo storico Il cavallo rosso. Un grande esempio più che un modello letterario da imitare.
Come è stata accolta l’opera di Eugenio Corti in Francia? Di solito è la cultura italiana a cercare una sorta di consacrazione a Parigi; nel caso di Corti a quanto pare è stato diverso: come si spiega questo fatto?
L’opera di Corti ha trovato in Francia un’accoglienza calorosa, propiziata non soltanto da alcuni qualificati interventi critici, ma soprattutto da adesioni individuali che si sono estese a macchia d’olio o forse sarebbe più esatto dire a macchia di leopardo: i migliori “propagandisti” dei libri di Eugenio Corti sono stati e continuano ad essere i suoi lettori. Viceversa, salvo qualche lodevole eccezione, i grandi organi di stampa si sono astenuti, per ragioni ideologiche che si possono facilmente intuire, dal pronunciarsi sulla sua opera. In questo senso la “fortuna” francese non poteva costituire una “autorità” a uso italiano che del resto nessuno ha cercato. Sulla ricerca della “consacrazione parigina” alla quale lei accenna – argomento che ho studiato da vicino per i primi vent’anni dello scorso secolo –, molto ci sarebbe da dire: per quanto ancora importante, l’attuale ruolo culturale di Parigi non è paragonabile al rayonnement (splendore, ndr) internazionale di Parigi nel primo Novecento. D’altra parte la ricerca della consacrazione parigina, nelle sue forme più superficiali, rivelava un complesso di inferiorità non sempre giustificato, e spesso il “successo parigino” era semplicemente millantato credito.
Lei è stato il principale organizzatore di un grande Convegno in onore dello scrittore si è svolto il 29 e il 30 gennaio 2016 presso l’Università Paris-Sorbonne. Può tracciare un bilancio dell’evento? Quale era l’obiettivo del Convegno e quale aspetto di Eugenio Corti è emerso con maggior risalto?
L’interesse di questo convegno internazionale, Le récit par images. Eugenio Corti (1921-2014), che ho organizzato assieme alla collega Lydwine Helly, dell’Università di Rouen, grande conoscitrice dell’opera di Eugenio Corti, si colloca, mi sembra, su vari piani. Li sintetizzerò in quattro punti. Innanzitutto si tratta del primo convegno universitario che si tiene in Francia su Eugenio Corti, e nella più prestigiosa università del Paese. Altri ne seguiranno, certamente, con il tempo. In secondo luogo l’opera di Corti è stata affrontata da prospettive molto differenti, da parte di storici della letteratura, di storici, di giuristi, di saggisti e critici non legati al mondo accademico. Penso in particolare alle relazioni di Lydwine Helly (Eugenio Corti et le Moyen-Âge), di Elena Landoni (Il Medioevo di Eugenio Corti: una questione di estetica), di Cesare Cavalleri (L’interpretazione cortiana di Catone), di Philippe Maxence (Eugenio Corti et Soljenitsyne), di Philippe Pichot-Bravard (Les totalitarismes dans l’œuvre d’Eugenio Corti). In terzo luogo, la presenza, accanto a collaudati specialisti dell’opera di Corti, come Paola Scaglione (Il realismo della trascendenza: angeli e poeti nel cielo di Lombardia), o Gérard Genot, il massimo traduttore di Corti, di giovani e qualificati universitari, prova che l’interesse per l’opera dello scrittore lombardo non è un fatto generazionale. Penso a Vanina Palmieri-Marcolini (Les figures féminines dans «Il cavallo rosso») e a Rachel Monteil (Eugenio Corti poète pictural. Les natures animées) a Cécile de Crémiers, che ha partecipato alla tavola rotonda conclusiva. Infine la sentita partecipazione del pubblico, in alcuni casi venuto da città molto distanti da Parigi, attesta un interesse, se non un fervore, destinato a perdurare e a svilupparsi. A settembre uscirà la traduzione francese di «Io ritornerò» Lettere dalla Russia 1942-1943. Segnalerò per ultimo l’eccellente interpretazione di vari brani delle opere di Corti data, nell’ultima tornata, dall’attore Guy Moign. Il nostro augurio è che la pubblicazione degli atti, che speriamo possa realizzarsi entro l’anno, consenta ai lettori di condividere l’impressione dei partecipanti al convegno: la scoperta o la conferma dell’eccezionale ricchezza dell’opera di Corti.
François Livi (Firenze, 1943) si è formato alla Sorbona e alla “Sapienza” di Roma. Dopo aver insegnato nelle Università di Digione, Paris X-Nanterre, Nancy, dal 1986 al 2011 è stato ordinario di Lingua e letteratura italiana all’Università Paris-Sorbonne, ove ha diretto, dal 2000 al 2009, il Dipartimento di Italianistica e, dal 2000 al 2011, l’E.L.C.I (Équipe de Recherche Littérature et Culture Italienennes). Ha tenuto corsi e seminari in varie università europee. Responsabile della collana di italianistica “Jalons” (Presses de l’Université Paris-Sorbonne), condirettore della “Revue des Études Italiennes” (Parigi), Presidente del “Centre de Recherche Pierre Emmanuel” (Parigi), si occupa prevalentemente della letteratura dell’Ottocento e del Novecento, sia sul versante italiano sia su quello francese con particolare riguardo ai rapporti tra le avanguardie dei due paesi. Tra le sue ultime opere, Italica. L’Italie littéraire de Dante à Eugenio Corti (Lausanne, L’Âge d’Homme, 2012), raccolta di quarantaquattro saggi, e Albert Camus. Alla ricerca della verità sull’uomo (Roma, Casa Editrice Leonardo da Vinci, 2013).
(intervista a cura di ACIEC, Associazione Culturale Internazionale Eugenio Corti, marzo 2016)