Categoria: Il cavallo rosso
Tra le pagine meno conosciute della storia del ventesimo secolo, quella della tratta dei bambini spagnoli in Urss, dopo la guerra civile spagnola è forse una delle più significative.
Con la vittoria dei franchisti, molti comunisti ripararono nel 1938 in Urss, convinti di andare a vivere in un nuovo paradiso terrestre. Portarono con loro circa 300 bambini spagnoli, in parte figli di prigionieri franchisti giustiziati, in parte figli di fanatici marxisti che affidarono volentieri la loro prole alle magnifiche sorti e progressive del nuovo regno del proletariato.
In questo memoir, il prof. Peter Milward, docente emerito presso la Sophia University di Tokyo, ricorda l’emozione suscitata dall’incontro con Il Cavallo rosso e l’iter che portò alla sua pubblicazione in giapponese. Peter Milward è il primo ad aver affrontato in modo sistematico la questione della «cattolicità» del canone shakesperiano.
Per gentile concessione delle Edizioni Ares pubblichiamo un brano tratto dal romanzo Il cavallo rosso dello scrittore Eugenio Corti (1921-2014) che narra l’angoscia che portò tra i prigionieri di guerra la notizia dello scoppio delle prime bombe atomiche nel 1945. Protagonista della scena è l’ufficiale italiano Michele Tintori, personaggio di fantasia, che si trova prigioniero di guerra in un lager russo a Susdal, cittadina a quasi 200 chilometri ad est di Mosca, che ospitava molti soldati, tra i quali un buon numero di italiani, catturati durante la tragica ritirata dell’inverno 1942-1943. Nel brano viene citato anche il cappellano militare padre Guido Turla (1910-1976).
La corsa gagliarda del Cavallo rosso nasce certo dal suo indiscusso valore letterario, ma ha molto a che vedere anche con la tenace esortazione all’operatività: chi legge è chiamato a continuare nella propria vita la straordinaria avventura del romanzo. Per l’ultimo capitolo del libro, quello mai concluso, Corti ha affidato la penna agli uomini di buona volontà. La storia di questi primi trent’anni è quella di una narrazione proseguita attraverso gli innumerevoli lettori che continuano a raccogliere il testimone: a migliaia scrivono a Corti e vanno a trovarlo per ringraziarlo della sua lucidità di giudizio e della bellezza che risplende nella sua narrazione, per confermargli che la vita è proprio come lui la descrive, per testimoniare che fa sua opera li ha aiutati a vivere, a credere, a sperare e persino che è stata fondamentale nella loro conversione. C’è un mondo di lettori, molto spesso giovani, che accolgono la sfida di accingersi a ricostruire, ciascuno secondo la vocazione a cui è chiamato, con i piedi ben saldi a terra e lo sguardo rivolto in alto, come lo scrittore. E se non è questo il successo…
Alcuni parlano di un Guerra e Pace italiano. Altri paragonano il lavoro di Corti ad Arcipelago Gulag. Si, c’è del Soljenitsismo nella volontà di raccontare l’irraccontabile, nel descrivere il male, e il soffio di Tolstoi nell’arte di mescolare i suoi personaggi con la storia. Inferno bianco della Russia, i Gulag, la battaglia di Montecassino e quelle d’Africa, la caduta del fascismo… la storia italiana esiste attraverso i destini particolari, quello di Ambrogio, di Stefano, di Michele, Manno… E in ognuno di questi ragazzi c’è un po’ di Eugenio Corti.