Categoria: Il cavallo rosso
Il romanzo maggiore di Eugenio Corti possiede le due caratteristiche di una vera opera d’arte: primo, è il testo stesso nella sua bellezza che si pone a giudicare il lettore, dato che lo attira o lo allontana dai propri tesori (io, rileggendolo per quest’occasione, l’ho trovato travolgente). Secondo, pur essendo Il cavallo rosso una narrazione realistica di guerra e di storia militare, in esso prevalgono alcune scene di uomini che muoiono non perché vengano uccisi (cosa ovvia), ma perché “incontrano la propria morte”: fatto più unico che raro per noi che siamo costretti a vivere un’epoca in cui letteratura e cinema riproducono morbosamente l’omicidio e l’assassinio.
Pare di vederlo il giovane reduce Michele Tintori aggirarsi per l’università alla ricerca di Alma Riva, la ragazza di cui è innamorato. Fa tenerezza vederlo mentre la cerca nell’aula dove lei ha seguito la lezione, chiedere di lei agli altri studenti e, non trovandola, cominciare a temere che stia frequentando un altro e venire colto da un sentimento di gelosia quasi adolescenziale. Fa tenerezza vederlo entrare negli spogliatoi femminili, inaccessibili agli studenti maschi, per cercarla. Ma che significa questo divieto per chi, come lui, ha visto la morte in faccia nelle gelide pianure russe? E ancora, fa tenerezza la sua reazione quando, finalmente incontrata Alma, si rende conto che lei per prima lo stava cercando.
Sì, siamo andati a trovare proprio lui, il ”caro don Mario” de Il cavallo rosso. Quel prete che – nel romanzo- redarguisce i monelli che se la stanno prendendo con il deficiente del paese, quello che prega davanti al tabernacolo per i suoi ”figli” sequestrati dai vari fronti di guerra, quello che contribuisce a convertire il Foresto, comunista tutto d’un pezzo. Un sacerdote, il don Mario, che esercita il suo ministero con impegno, nelle corsie d’ospedale a Monza, alla veneranda età di 95 anni.
Mi è stato chiesto di commentare per il Cittadino un piccolo brano del Cavallo rosso. Che dire? Caschi il mondo se intendo rinunciare a questa splendida opportunità, la quale però a ben vedere è anche una non piccola responsabilità. Premesso che il Cavallo Rosso è un libro non spiluccabile in antologie e meno che meno riconducibile a sunti famigerati stile “libro condensato” del Readers Digest, ma che va assaporato nella sua integrale bellezza, mi rendo conto che per coloro che non l’hanno ancora letto il poter coglierne alcuni bagliori, alcune pregnanti schegge, può rappresentare un elemento importante per spingersi alla dolce fatica di iniziare a leggerlo.
Eugenio Corti ha appena festeggiato ottant’anni. Qualche anno fa un sondaggio tra i lettori di Avvenire lo aveva indicato come il più amato fra gli scrittori cattolici viventi. Lo scorso ottobre una giuria presieduta dal sociologo Gianfranco Morra gli conferiva il premio internazionale “Medaglia d’oro al merito della cultura cattolica”: un riconoscimento che era andato in passato, fra gli altri a filosofi come Adriano Bausola e Augusto del Noce, ai cardinali Joseph Ratzinger e Giacomo Biffi, e al fondatore di Comunione e Liberazione don Luigi Giussani.