Categoria: Articoli su Eugenio Corti
La Brianza possiede un grande scrittore. Un narratore capace di raccontare le tradizioni e i valori della sua terra e di renderli universali. Un intellettuale coraggioso, che non teme di parlare di solidarietà e di impegno verso la comunità, anche a costo di risultare inattuale. Un uomo concreto, che nel momento in cui immagina una società più giusta, più armoniosa, s’impegna per realizzarla. Questo scrittore è Eugenio Corti.
Il piacere della lettura è dato anche dal fatto che, accanto a personaggi di fantasia ma fortemente autobiografici, ci sono personaggi realmente esistiti: si tratta quindi di un romanzo storico, che si può leggere come un affresco degli anni centrali del Novecento così come “I promessi sposi” di Manzoni servono per capire il Seicento. Ho citato il Manzoni non a sproposito, perché molti paragonano questo libro al capolavoro manzoniano, così come altri, forse più correttamente, citano “Guerra e pace” di Tolstoi e il nostro Vescovo Maggiolini scomoda “Il mulino del Po” di Bacchelli. Romanzi importanti, fondamentali, tali da far sembrare irriverente il paragone a chi non ha letto l’opera di E. Corti, mentre sono naturali e quasi obbligatori per quanti hanno affrontato le sue pagine.
Modernissimo. Anche se fino a 93 anni ha scritto e studiato nella stanza dov’era nato, con la scrivania davanti alla finestra per vedere le Prealpi lombarde. Anche se parlava della patria come dell’«eredità lasciata dai padri». Anche se diceva che una farfalla basterebbe a dimostrare l’esistenza di Dio (maiuscolo). Eugenio Corti, uno dei cinque più grandi scrittori italiani del Novecento – gli altri quattro sceglieteli voi, o forse li avete già sul comodino – è modernissimo. Proprio perché parlava, scriveva e viveva così. E a tre anni dalla morte continua a ricevere lettere come se fosse eterno, nella sua casa gialla di Besana Brianza dove nacque il 21 gennaio 1921, curiosamente e per una forma di contrappasso, il giorno della fondazione del Partito comunista italiano.
Ripensare lo scrittore Eugenio Corti ed il suo contributo alla storia della letteratura italiana contemporanea, non solo costituisce un atto di giustizia verso lo scrittore scomparso ormai da tre anni (Eugenio Corti è morto infatti il 4 febbraio 2014 nella sua Brianza), ma allo stesso tempo deve diventare opera di studio serio ed attento, per sgomberare, altresì, la grande opera di questo scrittore da troppi luoghi comuni e da un isolamento ingiustificato, iniziato dopo che lo scrittore brianzolo aveva concentrato la sua attenzione sull’ideologia comunista, con l’opera “Processo e morte di Stalin”, opera che fu rappresentata a Roma nel 1962 dalla Compagnia stabile di Diego Fabbri.
Eugenio Corti è stato per me un grande maestro, maestro di fede e di cultura per la Sua indomabile testimonianza di presenza nelle vicende culturali, sociali e politiche del nostro tempo. Il Cavallo Rosso è un affresco di straordinaria potenza dell’impegno – o del disimpegno – della presenza cristiana in questo secolo XX in cui da un lato l’umanità ha raccolto i frutti tremendi dell’antropologia ateistica ed anticristiana, dall’altro ha individuato nuovi spazi di dialogo con l’Uomo ed il mondo contemporaneo.