Categoria: Articoli su Eugenio Corti
Non dimenticherò la mia prima estate da liceale genovese. Confidavo a un amico più grande il mio terrore per quelli che sarebbero stati i successivi tre mesi all’insegna della noia, in un condominio dell’entroterra...
Di Corti ricordo lo sguardo acuto e limpido sotto i folti sopraccigli, il pizzetto grigio ben curato, il tratto signorile e insieme modesto: una figura che un pittore d’altri tempi avrebbe ricercato come modello per qualche gagliardo padre della Chiesa. E come uno di loro, dietro la sua pacatezza, Corti celava una tempra di lottatore.
Corti, classe 1921, fin da giovane aveva intuito la sua vocazione letteraria. Una vocazione che ha preso forma e si è arricchita in virtù delle esperienze che la vita gli ha posto dinnanzi e che lo scrittore ha saputo (e ha accettato di) cogliere: su tutte, il venire a contatto con la cruda realtà della guerra e l’esperienza ai limiti della sopravvivenza durante i ventotto giorni trascorsi “nella sacca” durante la ritirata di Russia del 1943, poi narrati ne “I più non ritornano” (Garzanti, 1947). Ma anche una chiamata maturata nella quotidianità di una fede semplice, vissuta in famiglia, e sviluppata grazie ad una capacità di lettura e di analisi della storia passata e contemporanea certamente non comune.
Te lo ripeto: senza di te al mio fianco la bellezza che c’è nei miei — nei nostri — libri, non ci sarebbe stata; solo io sono in grado di dire questo, e te lo dico e giuro davanti a Dio. Perciò la tua vita non è stata qualcosa di spento, ma al contrario, di luminoso: è stata una straordinaria avventura di donna, come a nessuna delle tue ave, che si sono succedute in un millennio, è toccata in sorte.
Ogni tanto si interrompeva pensoso e anticipava una questione che gli stava a cuore: “Adesso ti dico questa cosa, così poi la scrivi nel prossimo libro…”. Con il tempo la sintonia si era fatta sempre più essenziale. Da quando il suo cuore aveva iniziato a fare i capricci, era impensierito dal passare del tempo e da indicazioni “per dopo, quando io sarò passato di là e tu ci sarai ancora”. Una volta ero scattata: “No, per favore, questo discorso su di te non lo voglio sentire”. Sul volto paziente era passato un sorriso commosso: “Invece devi. E poi io la morte la affronto come un soldato, il più possibile con allegria”.