“Il mio Stalin con l’ironia di Shakespeare”
Debutta a teatro l’opera di Corti che fu stroncata da Dc e Pci
Ci voleva l’impeto di un mattatore generoso fino alla sventatezza come Franco Branciaroli e la devozione di un ammiratore disinteressato come l’attore/regista Andrea Carabelli (l’Ambleto di Giovanni Testori, Nati due volte dal romanzo di Giuseppe Pontiggia) per mettere in scena questo Processo e morte di Stalin di Eugenio Corti. Un testo “maledetto” e dimenticato, rapidamente rimosso dopo la prima romana del 3 aprile 1962, rovinosa nonostante la regia di Diego Fabbri e l’appoggio critico di Mario Apollonio, cattolici militanti e, all’epoca, potenti protagonisti del teatro italiano.
Del perché il lavoro fosse stato stroncato, di come mai si volesse, mezzo secolo dopo, riproporlo, il sorprendente Branciaroli non s’è dato pensiero. «Per la verità – ammette – le vicende del testo le ho apprese dopo avere detto sì a Carabelli. Quando me l’ha fatto vedere non ne sapevo niente, non sapevo nulla neppure dell’autore. Un cattolico, mi hanno detto, un signore brianzolo di novant’anni. A me, comunque, è bastata un’occhiata per capire che era interessante. Già ero curioso: Stalin è un personaggio gigantesco. Ma appena ho cominciato a leggere, sono rimasto abbagliato da quei colpi di luce shakespeariani».
Eugenio Corti – voce limpidissima al telefono, intatta nonostante l’età, mentre le gambe, informa, non gli ubbidiscono più, e dunque non andrà a teatro a vedere il suo Stalin risorto: «Non mi faccio trasportare su una sedia a rotelle, odio le figure patetiche» – non si stupisce affatto dell’entusiasmo di Branciaroli: – Trovo abbastanza naturale che un attore che vale prenda in mano un testo così. Prima o poi è destinato a sfondare, come Cavallo rosso (l’affresco romanzesco sulle vicende del Novecento che è il suo “opus maximum”, ndr). Non ho avuto una grande fortuna fino a ora? Non mi faccio compassione, so che alla fine il riconoscimento arriverà».
Confinato, nonostante le tante ristampe e traduzioni della sua opera, a una fama di nicchia – propiziata dal suo cattolicesimo integralista – Corti è perdipiù un autore scomodissimo, spesso anche per i politici di ispirazione cristiana. Processo e morte di Stalin, per esempio, dovette il suo insuccesso alla Dc quanto al Pci: «I comunisti, è vero, avevano già dato il via alla destalinizzazione, ma lì, nel mio lavoro, c’era un attacco frontale al comunismo in sé: Stalin e della sua politica di sterminio visti come logica e estrema conseguenza del pensiero di Lenin, non come deviazione. Mi attaccarono, ovvio. Meno ovvio che mi attaccasse anche la stampa cattolica». Ma era appena nato il quarto governo Fanfani: Dc, Psdi, Pri con l’appoggio esterno del Psi, la prova generale del centro-sinistra. Non era il momento di fondamentalismi anticomunisti.
Non era neppure un vero spettacolo teatrale, lo Stalin di allora: era stato allestito in forma di oratorio, una lettura senza costumi. La rappresentazione attuale, in scena il 24, 25 e 26 giugno al Teatro Manzoni di Monza, può dunque essere considerata il vero esordio in palcoscenico della tragedia, che si svolge in un unico giorno, il primo marzo del 1953. Il dittatore sovietico, intrappolato nella sua dacia, viene processato da un gruppo di membri del Politburo – Beria, Molotov, Kruscev, Malenkov, Mikoian, Kaganovic – e poi ucciso con un veleno che provoca un colpo apoplettico paralizzante ma non immediatamente fatale (Stalin morrà, infatti, quattro giorni dopo).
«Più ci lavoro, più l’opera mi sembra straordinaria – s’appassiona Branciaroli -. Continua a ripresentarmisi Shakespeare. Serpeggia l’orrore e serpeggia l’ironia. Come quando Stalin s’interroga su come potrebbe cambiare la testa alla nuora, costringerla ad amarlo: “Se la chiudessi di nuovo in un campo di rieducazione?… Però c’è anche il pericolo che non sopravviva: muoiono con la facilità delle mosche, in quei campi…”. Sembra Riccardo III». Sarà certo una grande prova d’attore, e per tutti quelli che andranno a vederla la scoperta di un’opera potente. Non è detto che sia l’inizio della nuova fama allargata di Eugenio Corti, però. «Non so proprio se in futuro sarà ripresa – s’incupisce il protagonista -. Forse fra un anno, per adesso non è prevista nessuna tournée». Ma ve l’immaginate che un Branciaroli-Stalin possa cadere nel vuoto? Io no.
(Maria Giulia Minetti, 13/06/11, La Stampa)