Torna in scena “Processo e morte di Stalin”
Uscì per la prima volta nel 1961, ma non ebbe fortuna. Anzi. In un clima culturale ormai ammaliato dalle sirene del marxismo leninismo, l’opera venne subito mutilata e messa a tacere. Nonostante l’appoggio entusiasta di Mario Apollonio, uno dei maggiori critici teatrali di allora, «Processo e morte di Stalin», la tragedia scritta da Eugenio Corti, riuscì ad ottenere solo una misera lettura pubblica da parte della compagnia del regista Diego Fabbri, per altro ingiustificatamente tagliata e ridotta. Da allora più nessuno ne parlò. E del testo se ne perse quasi notizia. Ora, a pochi mesi di distanza dalla ripubblicazione ad opera della casa editrice Ares, di Cesare Cavalleri, la tragedia verrà rappresentata in prima assoluta a Monza, al teatro Manzoni, il giorno del patrono, San Giovanni, 24 giugno (repliche il 25 e 26).
Toccherà ad uno dei migliori attori del nostro panorama, Franco Branciaroli, impersonificare la figura, complessa e ambigua, di Iosif Vissarionovic Dsugasvili, noto a tutti con il nome di Stalin. Con lui sei attori professionisti di fama nazionale, come Andrea Soffiantini, Paolo Cosenza, Marino Zerbin, Giovanni Franzoni e Claudio Lobbia. Olga, unico personaggio femminile tra i protagonisiti, la figlia di Stalin, che non poteva essere storicamente presente nella dacia di Cuntsevo, in cui si ambienta la tragedia, verrà interpretata da Cinzia Spanò.
La regia di Andrea Carabelli, 35enne milanese, ha voluto coinvolgere alcuni studenti delle scuole superiori della Brianza, liceo Don Gnocchi di Carate in prima fila. Il coro femminile sarà composto da Dina Perekhodkop, cantante russa, due giovani attrici e 15 ragazze dai 15 ai 19 anni. Delle guardie faranno parte tre giovani attori e 10 ragazzi.
Il lavoro corale ha visto come assistenti alla regia Adriana Bagnoli e Matteo Bonanni, collaboratrici didattiche Marina Fumagalli e Marta Parravicini, compositore e direttore del coro Alessandro Nidi, direttore coreografico Teodoro Bonci Del Bene, scenografo il seregnese Roberto Abbiati. Tutta la produzione va sotto il nome di prestigio del Teatro degli Incamminati. «Nel processo – dice il regista Carabelli – emerge il dramma di chi ha speso tutta l’esistenza per un ideale di cui neanche i membri del Politburo capiscono il senso (imbastiscono un processo contro il loro autarca ma vengono da lui stesso messi a tacere per mancanza di prove)».
In sostanza: Stalin eseguì alla lettera -questa la sua difesa – i dettami di Lenin per creare il Paradiso in terra, senza guardare in faccia a nessuno, nemmeno ai suoi parenti più stretti cui non risparmiò il carcere e le purghe.
Unico obiettivo della messa in scena del Processo: dare lustro a un’opera che merita e il prestigio dovuto a uno scrittore troppo a lungo avversato per motivi ideologici.
(Antonello Sanvito, 14/04/11, Il Cittadino MB)