«Corti, scrittore da Nobel»
«Un autore scomodo, un testimone, un vero profeta del Novecento. Meriterebbe ampiamente di vincere il Nobel della letteratura». Nel giorno in cui Eugenio Corti festeggia il novantesimo compleanno, il suo massimo studioso, François Livi, italianista della Sorbona di Parigi rilancia la candidatura dello scrittore brianzolo al massimo riconoscimento letterario.
Professor Livi, perché Corti è uno scrittore da Nobel?
«Senz’altro per la qualità dei suoi scritti che raccontano i grandi eventi epocali – nazismo e comunismo – della storia del XX secolo. Lui però non è solo un testimone, ma un profeta: scandaglia il significato degli eventi, interpreta i segni del presente, alla luce della dignità dell’uomo, “come se vedesse l’invisibile”. I più non ritornano, Il cavallo rosso, Gli ultimi soldati del re costituiscono un trittico di un’eccezionale intensità, per chi considera la letteratura non soltanto una distrazione passeggera».
In che cosa consiste la sua originalità?
«Nelle sue opere c’è uno straordinario “respiro narrativo”, alquanto inusuale soprattutto nella letteratura italiana. Questo “respiro narrativo” si nutre, in vari suoi libri, di una drammatica esperienza vissuta. Per questo Corti non è soltanto un testimone eccezionale delle grandi tragedie del Novecento, delle trasformazioni della società civile, ma anche un narratore genuino».
Lei è tra quei critici che non hanno esitato nel paragonare Corti a Tolstoj, soprattutto per il suo capolavoro Il cavallo rosso che richiama la stessa epopea di Guerra e pace…
«Certo. Al di là dalle evidenti differenze, ho riscontrato diverse analogie: l’ampio respiro narrativo nella rappresentazione di una società in un’epoca segnata da guerre e da grandi rivolgimenti; un romanzo che mescola genialmente personaggi storici e personaggi inventati dall’autore; la molteplicità delle focalizzazioni nella narrazione; le affinità nelle descrizioni delle battaglie…».
A quali altri autori della letteratura mondiale si può accostarlo?
«Può essere inserito in una costellazione di testimoni e di profeti del XX secolo. Penso in particolare a Solzenicyn, anche per l’accoglienza a dir poco tiepida che ha ricevuto in molti paesi occidentali, a Vasilij Grossman, l’autore di Vita e destino. Sono autori che hanno pagato a caro prezzo, sulla propria pelle – con la prigione, la deportazione, l’esilio, la persecuzione – la denuncia profetica dei totalitarismi, la critica dell’universo-prigione comunista nel quale vivevano. Il paragone con Corti vale ovviamente per le opere e non per le vicende biografiche, per fortuna non così drammatiche nel suo caso».
Quali sono, oltre al Cavallo rosso, le altre opere che apprezza maggiormente?
«Innanzitutto I più non ritornano, il diario della ritirata di Russia è in un certo senso, l’incunabolo del Cavallo rosso. La straordinaria forza di questo diario, che ho tradotto in francese e prefato, deriva non soltanto dalla tragicità degli eventi narrati, che l’autore rappresenta senza concessioni alla retorica o alla vulgata dell’epoca, ma dal desiderio di capire il significato di questo dramma. Il giovane Eugenio Corti contempla la guerra, vero e proprio flagello per l’umanità, sub specie aeternitatis. Questa è la cifra del libro. Ed è questo elemento a distinguere I più non ritornano dall’insieme delle testimonianze sulla campagna di Russia e sulla ritirata. Poi Catone l’antico: per la novità della tecnica narrativa, e per lo scandaglio sociale e morale di un’epoca attraverso la rappresentazione di un personaggio emblematico. Anche questo “romanzo per immagini” fa rivivere al lettore, dall’interno, eccezionali scene di battaglia, campo nel quale Eugenio Corti eccelle».
Come spiega il successo di Corti all’estero?
«In Francia ha saputo conquistare un pubblico fedele e notevoli consensi critici. Al che non poco ha contribuito l’ottima qualità delle traduzioni di Gérard Genot, noto italianista. Poi come in altri paesi, la diffusione delle opere di Corti dipende in parte dall’attiva “propaganda” dei suoi lettori. Mi è capitato di vedere, quando Eugenio Corti veniva ancora a Parigi, una famiglia intera andare in libreria a farsi dedicare il Cavallo rosso: il padre ne aveva comprata una copia per sé, una per la moglie, e una per ognuno dei figli, ancora piccoli, come segno di trasmissione di valori fondamentali. Non credo che si assista spesso a episodi di questo genere per autori contemporanei».
Perché invece in Italia non è ancora molto conosciuto?
«Eugenio Corti è un autore scomodo, per nulla “salottiero” o legato a conventicole letterarie o idelogiche. La sua storia editoriale mostra che non è uomo di patteggiamenti o di compromessi: gli sta a cuore la ricerca della verità e non il successo immediato. Il che spiega la sua assenza, per il momento, nel “canone noventesco” della letteratura italiana, condizionato dal conformismo e dall’accettazione passiva di una doxa ideologica. Ma la sua opera è destinata a durare: Corti scrive più per il futuro che per il presente».
Pur condannando tutte le ideologie i critici marxisti l’hanno snobbato per le sue testimonianze sul comunismo…
«Probabilmente non hanno letto né I più non ritornano, né Il cavallo rosso, né altri libri di Corti, dove la condanna della barbarie nazista è radicale. Ma, fortunatamente, il fascismo e il nazismo sono stati sconfitti e nel secondo dopoguerra il regime totalitario che rappresentava una minaccia per il mondo occidentale era il comunismo. Che Eugenio Corti si sia sempre opposto a questo totalitarismo ateo, è chiaro. Che ciò disturbi chi a quell’ideologia è sempre legato, è comprensibile».
Quanto conta la visione cristiana nei suoi scritti?
«L’opera di Corti è fortemente radicata nella fede, ma lui non è uno scrittore confessionale, che potrebbe esser capito solo dai credenti e dagli “addetti ai lavori”. I lettori intelligenti – credenti o non credenti – che amano la letteratura, trovano nella sua opera una riflessione sull’uomo e sulla storia che li invita ad allargare il proprio orizzonte e a porsi domande essenziali. Come tutti i grandi libri, i libri di Corti migliorano i lettori».
(Antonio Giuliano, 21/01/11, La Bussola Quotidiana)